Editoriale

Super-Mario e gli oracoli sul futuro al Quirinale

Giuseppe De Tomaso

Draghi deve ancora salire al Quirinale con la lista dei ministri che già sui giornali si dà per certa la sua scalata al Colle più alto di Roma, fra un anno, nelle vesti di successore di Sergio Mattarella

Mario Draghi deve ancora salire al Quirinale con la lista dei ministri che già sui giornali si dà per certa la sua scalata al Colle più alto di Roma, fra un anno, nelle vesti di successore di Sergio Mattarella. Al posto del presidente del Consiglio incaricato toccheremmo ferro. Non solo perché, notoriamente, chi entra da presidente nel conclave quirinalizio, solitamente ne viene fuori da subalterno. Ma anche perché se c’è una postazione che poco si presta al trasloco nella vecchia dimora dei papi e dei re, questa è la sede della presidenza del Consiglio, ossia Palazzo Chigi.

La conferma arriva direttamente dalla storia dell’Italia repubblicana. L’Italia ha collezionato più presidenti del Consiglio che medaglie alle Olimpiadi. Ma nessun presidente del Consiglio in carica è mai riuscito a diventare presidente della Repubblica.

Neppure ad Alcide De Gasperi (1881-1954), che era De Gasperi, riuscì il il salto verso la suprema magistratura dello stato, forse anche perché lo statista trentino non volle nemmeno provarci.

Intendiamoci. Nei curriculum di parecchi capi di stato figura anche la guida del governo, ma, ribadiamo, nessun presidente della Repubblica è diventato tale mentre rivestiva la carica di presidente del Consiglio.
Draghi viene spesso accostato a Carlo Azeglio Ciampi (1920-2013), anche lui banchiere centrale, anche lui presidente del Consiglio e successivamente presidente della Repubblica. Ma Ciampi viene eletto al vertice dello stato sei anni dopo essere diventato capo del governo. Al momento degli scrutini per il Quirinale, Ciampi è ministro del Tesoro.

Perché è complicato per un presidente del Consiglio ottenere la promozione a presidente della Repubblica? Perché lo scranno di Palazzo Chigi è, per sua natura, assai divisivo. Il premier italiano è l’uomo più assediato del pianeta. Lo assediano gli avversari, i rivali, gli alleati, i sindacati, le imprese, gli stessi ministri a caccia di priorità e precedenze nell’agenda programmatica del governo. E siccome un presidente del Consiglio, fosse pure il più doroteo della storia, non può dire sì a tutti, anzi, per dovere d’ufficio, deve pronunciare più di un no, eccoti che la sua carica da benedetta si trasforma in maledetta, nel senso che si rivela la meno indicata ambire al più prestigioso traguardo politico della nazione. Risultato: addio sogni di gloria ulteriore per i primi ministri di stanza a Palazzo Chigi. Dovranno attendere il giro successivo, ovviamente senza stazionare, alla vigilia della corsa al Colle, nella magione governativa.

Molto meglio, per chi nutre aspirazioni quirinalizie, partecipare alla gara sistemandosi in cima alle assemblee di Palazzo Madama e Montecitorio. Infatti. Non si contano i capi dello stato divenuti tali mentre presiedevano la Camera o il Senato. Camera e Senato sono l’opposto del governo. Tanto la presidenza del Consiglio non cementa le amicizie, semmai le sfarina, tanto la presidenza di Camera o Senato le fortifica, proprio in ossequio alla logica bipartisan che dovrebbe ispirare l’azione della seconda e terza carica dello stato.

Ok. Però qualcuno potrà obiettare che Draghi è Draghi, ossia è una personalità di prestigio mondiale e che, di conseguenza, l’ex numero uno della Bce potrebbe rappresentare la classica eccezione che conferma la regola, smentendo la tradizione che vuole il presidente del Consiglio sistematicamente fuori gioco durante la partita quirinalizia.

Sì, ma proprio perché è forte di suo, Draghi rischia di essere impallinato da quanti, tra i mille grandi elettori, non vogliono alla presidenza nomi dalla forte personalità.

Diciamolo. Un Draghi al Quirinale forse sarebbe ancora più conveniente per il Belpaese. Da quel palazzo, infatti, lui potrebbe richiamare tutti al rispetto dei conti pubblici con più forza di prima.

In questi giorni sta prendendo piede tra gli oracoli della politica italiana l’ipotesi di un’appendice presidenziale (un anno o due) di Sergio Mattarella sulla falsariga della soluzione già sperimentata con Giorgio Napolitano. Nel frattempo Draghi proseguirebbe la sua premiership fino alla scadenza naturale della legislatura (2013). Chissà. Mai come nell’anno che precede le presidenziali italiane vanno in onda tante fake news, intervallate da colpi bassi che spesso sfuggono ai medesimi destinatari.

Draghi nei prossimi mesi dovrà scontentare più di un questante o postulante. Lo farà perché il medico pietoso non salva quasi mai il malato. Dovrà, perciò, mettere in preventivo propositi di rivalsa che potrebbero coagularsi in vista della sessione parlamentare per il dopo Mattarella.
Staremo a vedere se questo tipo di (prevedibili) reazioni riuscirà a sfatare la tradizione che vede il pilota di Palazzo Chigi assai sfavorito nel Gran Premio per il Quirinale. Non sarà facile sfatarla, questa tradizione. Roba da Draghi, vedremo.

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