Tecnologia
Il mio primo weekend su Clubhouse: il social solo-voce che può cambiare il mondo del lavoro
È l'app del momento: elitaria (supportato solo da iPhone, puoi entrare esclusivamente se ricevi un invito da un amico già all’interno) e in controtendenza (niente immagini, solo voce). Consente di parlare a tu per tu con chiunque, e il potenziale è pressoché infinito
Mi sono iscritta a Clubhouse giovedì 28 gennaio, invitata dal mio amico Ezio, pugliese, blogger ed esperto di marketing. È il social network del momento: elitario (supportato solo da iPhone, puoi entrare esclusivamente se ricevi un invito da un amico già all’interno) e in controtendenza (niente immagini, solo voce, gli utenti creano «stanze» tematiche in cui si parla in diretta). Ne sentivo parlare da colleghi su altre piattaforme e questo alone di mistero («se non sei dentro non puoi capire che succede») insieme a una buona dose di Fomo, «Fear Of Missing Out», paura di rimanere tagliati fuori, mi hanno spinto a scaricare l’app.
L’impatto iniziale è stato positivo: ho trovato i profili di giornalisti, esperti di marketing e social media, che raggruppati nelle «rooms» già si scambiavano consigli su come sfruttare il potenziale di una piattaforma solo vocale, ma anche storie di vita o esperienze lavorative interessanti. E l’entusiasmo è cresciuto man mano, forse dovuto al fatto che sentire la voce in diretta rende tutto più «intimo», o alla possibilità che Clubhouse offre: parlare a tu per tu con chiunque, dall’amministratore delegato della grande azienda (in America c’è chi ha scambiato due parole con Elon Musk), all’idolo musicale del momento, tutto gratis (per ora).
Il rischio «noia» (alcune conversazioni durano ore, complice il semi-lockdown) è dietro l’angolo, ma dopo poche ore di zig-zag da una stanza all’altra ho capito alcune semplici regole: 1) se la chiacchiera nasce con un tema preciso, ben scritto nel titolo, partecipa solo gente che porta contributi centrati e stimolanti; 2) è una piazza, non una lezione, chi tende a salire in cattedra e a fare monologhi si autoesclude; 3) un buon moderatore fa la differenza nel gestire tempi e interventi; 4) accanto a ore e ore (bisogna dedicarci tempo se si vuole interagire attivamente) di conversazioni su politica, economia, lavoro, è necessario alternare temi più leggeri, dalla stanza per commentare la partita di calcio a quella per scambiarsi idee sulle serie tv o suggerimenti su cosa cucinare per cena.
Considerazioni finali: il potenziale di Clubhouse è infinito. In quattro giorni ho moderato interviste con cantanti, personaggi di tv e radio nazionali (ancora non si può registrare o riascoltare nulla, ma l’app è in versione beta, arriveranno nuove funzioni), ho ascoltato politici commentare dal vivo le consultazioni, sono entrata in stanze dove si discuteva se fare lì il consiglio comunale per avere un feedback immediato dai cittadini. Sostituirà la radio? Non direi, perché l’ascolto è attivo, viene spontaneo partecipare, non si fa altro nel frattempo (e poi non c’è la musica).
L’entusiasmo è tanto, è anche vero che è solo l’inizio, la gente è relativamente poca, nelle conversazioni c’è maggior rispetto che altrove, e ancora non sono arrivati i brand a tartassarci con le pubblicità. Si nasconde solitudine dietro alle (tante) ore passate su Clubhouse a parlare con sconosciuti? Forse. Ma in fondo siamo chiusi in casa da un anno, non possiamo incontrarci, per lavoro o per piacere. Magari fra qualche settimana scomparirà, ma intanto in 96 ore ho interagito con più persone che in dodici mesi di pandemia (con molte dal vivo non ci avrei mai avuto a che fare), nel frattempo studio modi per affiancare questa piattaforma al mio lavoro da giornalista, conosco storie nuove, mi arricchisco. Ditemi voi se questo non è un valore aggiunto.