IL PUNTO

Da marzo a settembre la fragilità permanente

gino dato

Quale è il nesso tra la condizione umana e l'apertura delle scuole?

Fragilità? Mentre riaprono le scuole, riflettiamo su questa condizione “umana”. Il Covid non fa sconti nel “designare” le sue vittime e i suoi testimonial, la pandemia non argina leggerezze e violenza di alcuni. Abbiamo perciò difficoltà a mettere a fuoco questo stato, specie per quanti confidano nell’estetica delle magnifiche sorti e progressive.

Ci paralizzò a marzo, ma con le avvisaglie dell’autunno non riusciamo ancora a scrollarcela di dosso. Anzi. La fragilità sembra un marchio peculiare della vita che viviamo: un battito d’ali può diventare tempesta.

Consultiamo la Treccani, per circoscrivere i significati dell’aggettivo “fragile”: qualcosa che si rompe facilmente, specie per urto, come il vetro; ma anche, nel significato figurato: chi “oppone scarsa resistenza al male fisico e morale, quindi debole, gracile, poco fermo” oppure, ancora, chi “non resiste alle tentazioni, e cade facilmente in colpa”.

Proprio così, noi siamo fragili, e lo siamo diventati sempre di più, attaccabili da questo virus che non ci abbandona e che insidia una natura e individui riottosi. Da un terreno magmatico e scivoloso come quello della scuola, che monopolizza il paese nello scontro tra parole e fatti, azioni e velleità, viene un contributo alla definizione della fragilità. La polemica su quali lavoratori possano aspirare all’esonero per le loro condizioni di salute ha indotto il ministero della Salute a delimitare il terreno con una circolare.

“Il concetto di fragilità – si definisce nella stessa – va individuato in quelle condizioni dello stato di salute del lavoratore/lavoratrice rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto.” Per cui l’età avanzata non costituisce uno stato che prefigura di per sé lo stato di fragilità. Conta semmai la compresenza di comorbilità “che possono integrare una condizione di maggior rischio.” Dei deceduti per Covid ben il 91% presentavano malattie cronico-degenerative dell’apparato cardiovascolare, respiratorio, renale e malattie dismetaboliche (“il 13,9% una, il 20,4% due, il 61,8% tre o più”).

La precisazione non riguarda solo i lavoratori della Pubblica Istruzione, ma un po’ tutti noi, che combattiamo questa battaglia. A cominciare da quanti per fasce di età sono stati, a esordio della pandemia, annoverati nella schiera dei fragili: le persone in età avanzata, anche interessati da altre patologie.

Hanno tirato un sospiro di sollievo perché – come si dice, mal comune mezzo gaudio – l’idea che la fragilità interessi anche coloro che i capelli d’argento non ce li hanno un po’ è servita a mettere la testa fuori della riserva in cui erano stati segregati. Insomma, era ingenerosa quell’esclusiva della fragilità.

Ma in questi giorni capiamo anche che, insieme alla fragilità per le patologie, nel Paese ce ne sono almeno altre due forme, striscianti: l’incapacità di ergere un argine a una forza più risoluta di noi; l’immobilismo indifferente, il lasciarsi andare a non mutare vizi e inerzie.

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