L'Editoriale

Boss ingordi tra usura e reddito di latitanza

Filippo Santigliano

Il lockdown blocca le attività sociali ed economiche, ma non le organizzazioni mafiose intente a studiare strategie di welfare del crimine e di affari in chiaroscuro

Gli osservatori abituati a guardare gli scenari criminali con il telescopio più che con il microscopio l’avevano temuto. Il lockdown blocca le attività sociali ed economiche, ma non le organizzazioni mafiose intente a studiare strategie di welfare del crimine e di affari in chiaroscuro: dall’endemico fenomeno dell’usura al riciclaggio del denaro sporco per rilevare rami d’aziende o interi esercizi commerciali a rischio default dopo due mesi di fermo biologico. Così la fase due dell’emergenza corona virus ha visto subito protagonisti capi boss, delegati, affiliati e soldati delle organizzazioni mafiose da nord a sud, con quell’eccesso di protagonismo, per certi versi inatteso, ma che segna il campo dell’antiStato pronto a riprendersi più di prima il tempo rimasto sospeso durante la fase espansiva dell’epidemia. Il tutto con la collaborazione di fiancheggiatori e colletti bianchi, insospettabili che ricamano da sotto il telaio il tessuto del malaffare, spesso protetti anche dalla considerazione sociale che “mai metterebbe in dubbio” la cifra morale dei soggetti coinvolti.

Gli episodi di cronaca avvenuti nelle ultime ore del resto confermano questo trionfo della malvagità nel tempo della sofferenza dei buoni: la beffa allo Stato degli uomini d’onore della ‘ndrangheta (un centinaio percepivano il reddito di cittadinanza a Reggio Calabria) o il mega sequestro di beni immobili e mobili operato dalla Dia a Cerignola, oltre quattro milioni di euro tra aziende, depositi, auto di lusso, barche, conti correnti e denaro contante riconducibili ad un nulla tenente con un curriculum di tutto rispetto nei clan cerignolani; e per restare in Puglia, l’allarme lanciato dal sindaco di Bari, De Caro, per la sfrontatezza degli usurai o le minacce via facebook al sindaco di San Severo, Miglio, colpevole di aver censurato le batterie dei fuochi d’artificio con tanto di dedica ad un boss ucciso due anni fa, a margine della festa patronale del Soccorso (peraltro vietata).

Ora proprio perché siamo di fronte a fatti scoperti, va aggiunto che prefetture, forze dell’ordine e procure hanno lanciato evidentemente per tempo i satelliti per intercettare i movimenti dell’industria malavitosa, vogliosa di sdoganare in una circostanza così ghiotta come quella che si attraversa i proventi del traffico di droga, del racket delle estorsioni, del controllo della prostituzione, dell’usura e del gioco clandestino.

E del resto mai come in questo momento si tratta di avere la capacità di impossessarsi della scatola nera per decifrare le strategie delle organizzazioni criminali, grandi o piccole è solo una questione di declinazione rispetto agli interessi territoriali, e per decostruire e mostrare le dinamiche di certe gerarchie ai quartieri alti dell’anti Stato.

In fondo chi pensava ad un ridimensionamento dei reati e degli interessi mafiosi, complici i dati al ribasso registrati nei due mesi di blocco covid, si è soltanto illuso perché la realtà è ben diversa. E quel che è peggio mostra un quadro sociale tutt’altro che astratto, con il pericolo affatto ingannevole di una crescita dell’impoverimento e quindi del ricorso al mercato finanziario occulto che è lì con le casse aperte h24. Ecco perché mai come in queste occasioni la tenuta sociale ed economica è affidata anche alla forza e alle competenze dello Stato. E ad una società civile che non diventi tale solo quando le fa comodo. Purchè le azioni siano all’altezza delle parole.

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