Il punto

Il ritorno dell'economia al centro della scena

Francesco Giorgino

C’è da augurarsi che la prossima manovra economica scacci nelle retrovie le tentazioni elettoralistiche del recente passato e guardi con decisione alla prospettiva medio-lunga

In questa fine estate in cui ciò che sembra interessare di più è l’esito delle manovre messe in campo dai singoli leader come se l’unica cosa che conti davvero sia il modo con cui conservare o conquistare il potere personale, vale la pena di riflettere sullo strumento che può davvero cambiare la vita degli italiani: la prossima legge di bilancio. I temi partitici stanno contando più di quelli programmatici secondo un approccio che ha già mostrato tutta la sua fragilità. È utile, perciò, analizzare alcune questioni che, a giudizio di chi scrive, appaiono rilevanti dal punto di vista sia del metodo sia del merito. Cominciamo con il metodo, riassumibile in almeno tre elementi. Il primo è il ritrovato dialogo con l’Europa anche ai fini di una maggiore flessibilità.

Flessibilità che consenta al nostro Paese di perseguire l’obiettivo di una manovra economica più espansiva di quelle precedenti a maggior ragione dopo il rallentamento della prima economia europea, quella tedesca. Fattore questo che potrebbe indurre, una volta per tutte, all’archiviazione della logica dell’eccesso di austerità. Il secondo elemento, che intreccia certamente la questione della stabilità del secondo governo a guida Giuseppe Conte, è legato alla prospettiva triennale degli intero della difficoltà del reperimento delle risorse per poter far fronte alle misure di politica economica e fiscale che si intende varare. Com’è noto, la principale emergenza da affrontare è relativa alla sterilizzazione dell’aumento dell’Iva. Operazione che costa 23 miliardi e che è stato uno degli argomenti più adoperati dalle forze politiche contrarie al voto anticipato e favorevoli alla nascita del nuovo governo. Il terzo elemento metodologico si sviluppa intorno alla necessità di restituire la sensazione che si stia riducendo il debito pubblico e che non si voglia in alcun modo camuffare la spesa corrente con l’investimento, avendo altresì la consapevolezza che gli investimenti rappresentano la priorità delle priorità se si vuole davvero favorire la crescita e l’occupazione.

Veniamo ora al merito. Nessun rinvio sugli investimenti è consentito, specie quelli green. Serve una politica anticiclica, a maggior ragione dopo la pubblicazione nel week end dei nuovi dati Ocse. Dati che per l’Italia vedono il Pil inchiodato sullo zero nel 2019, con un incremento del solo 0,4% per l’anno prossimo, ma con un -0,2% rispetto a quanto ipotizzato precedentemente. La guerra dei dazi a livello internazionale sta spingendo l’economia ai livelli di recessione presenti nel 2008. L’Ocse ha abbassato la previsione di crescita del Pil mondiale dal 3,2% al 2,9% per l’anno in corso e dal 3,4% al 3% per il 2020. Pesano le dispute tra Stati Uniti e Cina e quelle tra Corea del Sud e Giappone. Pesa la minaccia di un “no deal” sulla Brexit che potrebbe indurre la Gran Bretagna alla recessione già tra qualche mese. Pesa anche la minaccia americana di imporre tariffe al settore automobilistico europeo.

Tornando all’Italia, entro venerdì prossimo conosceremo i contenuti della Nota di aggiornamento al Def. Meno crescita significa più deficit. Non dimentichiamocelo mai. Come già ricordato, la prossima legge di bilancio ha anzitutto l’obiettivo di evitare l’aumento dell’Iva che vale l’1,25% del rapporto deficit-Pil. Ha altresì la finalità di avviare il piano triennale di tagli al cuneo fiscale quantificato in circa 5 miliardi. Intende finanziare nuove misure per la famiglia e gli asili nido e rilanciare il piano 4.0. Piano che nelle intenzioni del Mise dovrebbe poter usufruire del salto di qualità in agevolazioni non più collegate all’acquisto di singoli macchinari ma a progetti più ampi riguardanti le intere linee produttive, sempre nel rispetto dell’ambiente. Nelle ultime ore Conte ha lanciato la proposta di un patto con l’industria per programmare il “green new deal”, con l’intento di favorire, anche attraverso incentivi, la transizione energetica del nostro sistema produttivo. Una proposta accolta favorevolmente dal numero uno degli imprenditori italiani Boccia che ha ricordato come l’idea dell’economia circolare appartenga al Dna di Confindustria. Per quanto concerne il taglio del cuneo fiscale, impegno assunto dal premier con i sindacati, le ipotesi sono sostanzialmente due.

Da un lato si immagina di percorrere la strada del credito d’imposta che assorba il bonus Renzi da 80 euro. Dall’altro non si esclude una sforbiciata secca dei contributi a carico dei lavoratori. In entrambi casi l’obiettivo è quello di consentire un rilancio dei consumi, restituendo il potere d’acquisto alle famiglie. In riferimento al quadro di finanza pubblica, va detto che volendo realizzare tutte le misure riepilogate finora, il deficit salirebbe al 3,2%. Finalità impossibile da perseguire anche se la percentuale fosse del 2,9%. Il Mef è a caccia di una quindicina di miliardi per riuscire a mantenere il disavanzo nominale tra il 2,1 e il 2,2%. A questo stanno lavorando il Ministro Gualtieri e i due vice Misiani (PD) e Castelli (M5S), sapendo che la coperta è oggettivamente corta e che si può far leva sui seguenti fattori: risparmi nell’applicazione delle due riforme bandiera del precedente governo, ovvero reddito di cittadinanza e quota cento; minor spesa per interessi grazie alla discesa dello spread; spending review; lotta all’evasione fiscale per diminuire il buco da oltre 100 miliardi nelle casse dello Stato, incentivi all’uso delle carte di credito ed estensione a tutti della fatturazione elettronica; revisioni delle deduzioni e detrazioni fiscali, sfoltendo quelle poco utili. Sarà una battaglia antideficit che verrà condotta decimale per decimale, soprattutto se consideriamo che dai Ministeri, come del resto è sempre avvenuto, non stanno arrivando tanto indicazioni su come tagliare la spesa, quanto valutazioni politiche sul come e sul perché è opportuno aumentarla.

Aggiungiamo qualche altra considerazione. L’attenzione al Sud del nuovo esecutivo è certamente un fattore positivo, ma non dimentichiamoci che è di straordinaria importanza garantire la coesione sociale nazionale. Per favorire la crescita bisogna puntare ad un nuovo piano infrastrutturale al Sud, ma anche dimostrare attenzione nei confronti del Nord che detiene una quota parta rilevante del Pil. Il 35% del prodotto lordo viene da Lombardia e Veneto. Un dato che sale al 40% se si aggiunge il Piemonte e al 50% se si fa riferimento anche all’Emilia Romagna. Nei primi sette mesi del 2019, guardando ai dati sul commercio estero, delega opportunamente passata al Ministero degli Esteri (oggi guidato da Luigi Di Maio), l’aumento su base annua dell’export pari al 3,2% è stato determinato soprattutto dalla vendita di prodotti farmaceutici, chimici e medicali (quasi il 28%). In posizione molto più arretrata si collocano i prodotti dell’abbigliamento e quelli alimentari. Il Nord manifatturiero è, dunque, in una condizione di difficoltà. Un Settentrione più forte giova all’Italia esattamente come giova un Meridione più competitivo e con una maggiore capacità di superare i ritardi nella realizzazione delle opere pubbliche. Ritardi che il direttore generale di Bankitalia, parlando sabato a Foggia, ha quantificato nel 70% dei progetti avviati, per un valore di 2 miliardi di euro.

C’è da augurarsi che la prossima manovra economica scacci nelle retrovie le tentazioni elettoralistiche del recente passato e guardi con decisione alla prospettiva medio-lunga. Non aspettiamoci rivoluzioni, ma segnali chiari della direzione di marcia. E ciò al netto del dibattito, che pure ha una sua logica economica ed una causa nobile (l’istruzione e la buona alimentazione), sulla tassa da applicare a chi fa uso di bibite e merendine. Dibattito interessante, ma che da solo non risolve i problemi economici dell’Italia.

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