L'analisi

Operazione San Gennaro nella città di San Nicola

Giuseppe De Tomaso

«Aurelio De Laurentiis è chiamato a realizzare il prodigio, la quadratura del cerchio tra due tifoserie che non si sono mai sopportate»

I tedeschi amano gli italiani, ma non li stimano. Gli italiani stimano i tedeschi, ma non li amano. Idem tra baresi e napoletani. I baresi amano i napoletani, ma non li stimano. I napoletani stimano i baresi, ma non li amano. Se quest’ultimo flash s’impone in tutti gli angoli della quotidianità meridionale, figuriamoci come fa strada nel mondo del calcio, che amplifica omericamente colori e contrasti, campanili e passioni.
Ora. Il vulcanico cinepanettonista Aurelio De Laurentiis è chiamato a realizzare il prodigio, la quadratura del cerchio tra due tifoserie che non si sono mai sopportate, ma soprattutto è chiamato a rappresentare e ad agevolare la sintesi tra due stili di vita, tra due modi di essere avanguardie del Sud.

e è vero che il calcio rimane la metafora del Paese, l’avvento del presidente del Napoli alla guida del nuovo football barese può accorciare le distanze umane tra la capitale del Sud e il capoluogo della Puglia. Le può accorciare prima dell’Alta Capacità ferroviaria, il cui battesimo, si spera, verrà celebrato tra qualche lustro.
L’operazione San Gennaro nella città di San Nicola avvicina, inoltre, due santi e due culti (sportivi), avvicina pure l’Adriatico e il Tirreno, l’Italia dell’Est e l’Italia dell’Ovest, quest’ultimo storico dualismo economico nazionale, denunciato dal sommo fiorentino Dante Alighieri (1265-1321) prima che nei secoli successivi il divorzio del Pil riguardasse Nord e Sud, oltre agli altri due punti cardinali.
Bari e Napoli distano soli 260 chilometri. Un’inezia. Ma per colpa dell’Appennino e del pregiudizio, fattore ancora più insormontabile delle cime montane, la distanza sembra decuplicata. Adesso, come d’incanto, pare attenuarsi. Magia del calcio o effetto del sogno, ieri pareva che Napoli e Bari fossero un’unica realtà metropolitana, una sorta di squadra 1 e squadra 2, pronte a giocare disunite per colpire unite, e impazienti di scendere in campo per obiettivi sempre più fulgidi: lo scudetto per la prima squadra, la promozione per la seconda.
Dunque, grazie a De Laurentiis, il primo miracolo si è realizzato. Perlomeno nel pallone, il Sud è più compatto. Tifosi napoletani e tifosi baresi, si auspica, cominceranno a stimarsi ed amarsi senza i tradizionali distinguo e, per la proprietà transitiva, inizieranno ad apprezzarsi reciprocamente anche coloro che tifosi non sono.
Che, poi, a pensarci bene, la rivalità Napoli-Bari è condita da un immotivato luogocomunismo. Napoli non è solo quella descritta dai film e dalle gomorre. Napoli è un incrocio di contraddizioni, dove al peggio e al brutto fanno da contraltare il meglio e il bello della nazione. Napoli è una città in chiaroscuro che ai falsi d’autore aggiunge gli originali d’autore, basti pensare ai leggendari nomi della sua alta sartoria (da Kiton ad Attolini, da Marinella a Barba, da Borrelli a Isaia), esempi di un’intraprendenza che non avrebbe sfigurato in un severo esame davanti all’economista Joseph A. Schumpeter (1883-1950), il principale studioso (e sostenitore) della figura dell’imprenditore quale motore dell’economia.
Anche Bari non è quella comunità stereotipata (e caricaturale) resa tale per colpa di retroscenisti e resocontisti di nera mai a riposo. Anche Bari è una città di luci e ombre, con le prime che somigliano assai ai bagliori partenopei. Anche Bari e il Barese possiedono un codice genetico votato all’impresa, un Dna commerciale e industriale. Anche Bari e il Barese possono annoverare nomi e cognomi da copertina, capitani d’industria che hanno cercato il favore da parte dei consumatori più che la protezione da parte degli amministratori.
Insomma. Se tutto il Mezzogiorno fosse come la provincia barese e se tutto il Sud fosse come quella zona partenopea che ha in Arzano uno tra i suoi simboli territoriali più virtuosi, parleremmo di un’altra realtà, di un altro Meridione, non più di una Bassa Italia spacciata e rassegnata.
Forse stiamo esagerando, forse stiamo attribuendo al dio pallone poteri taumaturgici che esisono solo nella mente degli spiriti illusi e degli appassionati persi. Sì, forse stiamo esagerando. Ma oggi non esistono collanti sociali in grado di competere, per la tenuta di un popolo, con lo stregato sistema che gira attorno a una sfera di cuoio e a 22 giovanotti ingaggiati per corrervi dietro. Il calcio sarà pure l’oppio o l’ovvio dei popoli, ma resta l’unico strumento capace di affiatare e aggregare, amalgamare e ricucire, di premiare il merito e non il demerito, anche se a volte sconfina nel suo contrario, nella sua patologia: lo scontro fisico, la violenza capillare, l’intolleranza tra opposte visioni/fazioni.
I baresi sono amanti dei forestieri, tanto è vero che hanno scelto un forestiero come santo patrono della città. Ameranno anche il forestiero De Laurentiis. Di sicuro lo ameranno più di quanto avrebbero amato un presidente barese, qualora la scelta del sindaco Decaro fosse caduta su una cordata locale. Sarà il cineproduttore il loro nuovo patrono laico? I frequentatori dello stadio San Nicola e i supporter del club lo sperano e ci scommettono. La paura, la prospettiva di dimenticare per sempre la dea palla che va e viene nel tempio di Renzo Piano deve aver turbato il sonno a molti baresi in queste settimane.
Adesso, l’incubo è svanito. La storia riparte. E non è un film, anche se il «salvatore» è uno che vive e fa vivere di ciak e pellicole. Titolo di cronaca: vedi Napoli e poi rinasci

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