Cronache dal Bif&st

Ciak Selvaggi: Qual è l’anima del giornalista in cinemascope

Alberto Selvaggi

Il resoconto tra il serio e il faceto dell'ultima giornata del festival del cinema a Bari

BARI - Chiunque è sbarcato a Bari in questi giorni, sia russo con in saccoccia soldoni, o tedesco tirchio con sandali piallati e canotta, s’è reso conto del carrozzone ciclopico che il cinema ha messo a disposizione. Lauda Iddio (Laudadio, Felice) ha diretto una iniziativa intricata peggio del labirinto di Cnosso, lo staff ha sgobbato buscandosi bizze di divetti italioti. Per di più in una viabilità affogata dal miope dogmatismo urbanistico dell’amministrazione. Il capoluogo anche ieri, ultimo giorno, ha ricevuto in comodato d’uso svariati Valerio Mastandrea, seni recitativi di attrici più o meno note, al Margherita madide fronti cogitabonde da Marco Bellocchio, con alberghi pieni dal primo all’ultimo. E so’ soldi. Ma non hanno sgobbato soltanto quelli del Festival X edizione: anche ai giornalisti va riconosciuto un ruolo nella recita cinematografica che abbiamo rappresentato un po’ tutti.
Sono piovuti inviati da ogni parte dello Stivale tricolore. L’appestato di fosforo, con occhiale d’osso, che se gli domandi un parere fa il muto. Il romano rigonfio che invade gli spazi artisti come er gabbinétto de casa sua. L’improvvisatrice microfonica imbucatasi al fine di sedurre un attore, ottenere una parte di 20 secondi, o filmarlo all’azione in formato Youporn. L’autoreferenziale, il debosciato cronico. Ma in generale non esiste probabilmente un cronista slecchinatorio e vocato al pensiero unico più di quello del settore spettacoli e dintorni.
C’è una tendenza a sciamare dietro ai prodotti da cinematografo. Massificazione infruttuosa, perché se già i politici piantano bidoni agli operatori dell’informazione dopo promesse di candidatura, questi qua, a parte l’ego ipertrofico, non hanno da contraccambiare molto. Taluni redattori, per giunta, sono inconfessi teatranti ambiziosi, se la sono menata con la dizione (bèllo, mólto), anche se non vantano certo le qualità attoriali di cui il sottoscritto ha dato prova conquistando il titolo di «attore e anche un po’ giornalista», per non parlare della maestria sfoggiata nei recenti video con il mio gatto Dorian e un finto pappagallo parlante, Ciuffo, munito di ripetitore elettronico.
La gente del cinema ha mezzi di rivalsa risibili contro i commenti velenosi, rispetto ai politici buzzurri. Da cui si desume che l’unico motivo che spinge i giornalisti a sventagliarli facendo corona è che come falene covano desiderio di luce. Seppur riflessa, è meglio di nulla.

Lo comprova il fatto che i party vippeschi in cinemascope sono stati la massima ambizione. Come l’Anello del Nibelungo. C’è chi ha subìto una destrutturazione interiore per essere stato escluso. Chi ha lambito scorciatoie prostitute pur di ottenere l’ingresso e poter raccontare in redazione il giorno dopo, «a Nicola sono piaciuti un sacco i moscardini fritti, me li ha fregati tutti» (Piovani), «Valeria stava poco bene, si è confidata, l’ho trovata giù…» (Golino), «Peppe è forte, che risate madó» (Tornatore). C’è chi si è messo in malattia a ore alterne, garantendosi il blitz modaiolo nello spazio temporale programmato per la resurrezione. Chi ha strillato come una gallina frocia. Chi ha attivato la lingua sulla funzione frullatore finanche con gli autisti del macchinone preposto al deretano di Mario Martone. Chi, epurato dopo garanzia d’ingresso con moglie pompata a botox («sono finiti i posti, non è colpa mia, sta l’assessore al posto tuo!»), è scivolato nelle spire dello sconforto, consegnandosi poi a quelle del pizzicologo, a sua volta in cura presso altri pizzicologi solitamente messi peggio di noi.

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