L'intervista

Simona Molinari nel Salento con «Kairos»: un racconto sul tempo tra jazz e pop d'autore

Bianca Chiriatti

Domenica 21 dicembre al Castello Volante di Corigliano d’Otranto la cantautrice protagonista di uno spettacolo intimo e narrativo che attraversa vita, emozioni e memoria sonora

Riparte domani, 19 dicembre, la nuova edizione di «Salento Jazz», rassegna storica organizzata da Ponderosa Music and Art che fino al 30 attraverserà Maglie, Corigliano d’Otranto e Lecce, con un cartellone ampio e trasversale di musica dal vivo che mette insieme grandi nomi, nuove visioni e momenti di formazione. Tra gli appuntamenti più attesi (il programma prende il via a Maglie, con il workshop «Improvvisare il jazz: corpo, ascolto, procedure» al Liceo Scientifico Statale Leonardo Da Vinci, e incontrerà anche Raphael Gualazzi, Avion Travel e Nesrine, Bassolino e Dario Jacque e The Gospel Times), c'è quello con Simona Molinari, cantautrice raffinata che domenica 21 dicembre sarà al Castello Volante di Corigliano d’Otranto con lo spettacolo «Kairos». Un live che sarà un vero e proprio racconto musicale e in cui la voce sofisticata, che si muove agevolmente tra jazz e pop d'autore, dialogherà con una band di grande spessore, formata da Claudio Filippini al pianoforte e tastiere, Egidio Marchitelli alle chitarre, Nicola Di Camillo al basso elettrico, Fabio Colella alla batteria e Andrea Sabatino alla tromba.

Molinari, la Puglia è una regione che le vuole bene, è stata poco tempo fa a Foggia per il TEDx, ci torna spesso. Le piace questa terra?

«Moltissimo. Anche quando ho tempo libero, soprattutto d’estate, passo le mie vacanze in Puglia. In particolare amo la Valle d’Itria, ci andrei a vivere».

Torna con uno spettacolo dal titolo molto suggestivo, «Kairos». Cosa porterà sul palco?

«È un percorso in cui prendo lo spettatore per mano e lo accompagno attraverso il "kairos" della vita, quello che i greci definivano il “tempo opportuno”, che dà senso all’esistenza. È il tempo che si contrappone al "chronos", il tempo cronologico, il susseguirsi delle cose da fare. Racconto questi diversi tempi attraverso le canzoni: il tempo dell’ego, degli innamoramenti, dei sogni, dei tradimenti, del disincanto, degli addii, della conoscenza di sé. Credo sia importante proteggerli, perché sono quelli che, nel bene e nel male, ci ricordano che siamo esseri umani; l’altro tempo, rischia di trasformarci in macchine».

L’arte in fondo ha anche questo compito. In scaletta ci sono suoi brani e omaggi a grandi autori come De Gregori, Ella Fitzgerald, Lucio Dalla. Come sceglie le canzoni da interpretare?

«Scelgo i brani in cui posso entrare, che posso abitare con la mia vita. Quando canto non penso a esibirmi, ma a vivere intensamente quello che sto facendo. Se una canzone posso viverla davvero, allora sento di poterla cantare, senza mettermi in competizione con l’interprete originale, ma offrendo la mia visione. Inoltre seguono sempre un filo narrativo coerente con ciò che racconto: per me il senso viene sempre prima dell’estetica».

Quali sono stati i suoi riferimenti musicali, quelli che l'hanno avvicinata alla musica?

«Il jazz ha avuto un ruolo enorme nella mia vita, da bambina ascoltavo Ella Fitzgerald, poi ho scoperto i cantautori e mi sono appassionata alle parole, mentre inizialmente era la musica a guidarmi. Più avanti sono arrivata a Mercedes Sosa, a cui ho dedicato il mio ultimo album, che ha vinto una Targa Tenco. In quel caso la voce non era solo strumento musicale, ma mezzo di divulgazione. È stato un percorso parallelo alla mia crescita personale, e questo lo racconto anche sul palco».

Palco che ha condiviso con tantissimi artisti italiani e internazionali, da Al Jarreau ad Andrea Bocelli, da Ornella Vanoni a Raphael Gualazzi. C’è qualche incontro che l'ha cambiata profondamente?

«Ognuno mi ha lasciato qualcosa. Ornella Vanoni sicuramente per la forza di essere se stessi anche quando si rischia di essere fuori moda. Da Raphael Gualazzi o Peter Cincotti ho imparato la visione artistica, il virtuosismo unito al cuore. Massimo Ranieri è stato un esempio straordinario di professionalità e passione, una passione che ti resta addosso. Forse Ornella, per la sua caratura artistica, è quella che mi è rimasta più nel cuore, e non perché è scomparsa da poco».

Come vede oggi lo stato di salute del jazz in Italia, soprattutto nei giovani?

«Si tratta di linguaggi e di come vengono promossi. Se il mercato e il mainstream sostenessero di più certi artisti e certi suoni, anche i giovani li ascolterebbero. Oggi i ragazzi cercano vicinanza, qualcosa in cui riconoscersi. Il jazz può sembrare una lingua straniera e quindi non sempre intercetta il loro sentire. Ma sono convinta che, se fosse promosso di più, potrebbe circolare anche tra i giovani e avere un futuro, magari diverso da quello tradizionale».

C’è qualcosa che sente di non aver ancora fatto, un palco o un obiettivo che le manca?

«In realtà penso di aver sempre sognato ciò che poi ho vissuto e vivo in questa fase della mia vita. Oggi il desiderio è continuare a fare quello che faccio finché ne avrò la forza e la voglia. Il sogno più grande è svegliarmi ogni giorno con l’entusiasmo che ho adesso per il mio lavoro».

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