L'intervista
«What I Felt», la «voce» del pianoforte di Francesco Maria Mancarella: «Il mio disco è tutto autentico, incluso il rumore della pioggia»
È uscito il nuovo album del maestro salentino noto per Il Pianoforte che Dipinge e per aver diretto l'orchestra di Alessandra Amoroso a Sanremo: «Il pubblico che ama il pop si è appassionato alle mie cose. Vivere a Lecce mi regala l'ispirazione»
In alcune canzoni non sono solo i contenuti a «comunicare», ma anche i suoni stessi: è il caso di «What I felt» nuovo album del direttore d’orchestra, pianista e compositore leccese Francesco Maria Mancarella, uscito in vinile limited edition e in digitale (Sony Music Italy), che nasce da una profonda ricerca sonora e dalla volontà di trasformare il pianoforte in una «voce nuova». Il titolo gioca sul doppio significato del termine inglese «felt»: il feltro — materiale che Mancarella ha usato per modificare il suono del suo pianoforte a coda Kawai — e il verbo to feel, sentire. Ed ecco un’esperienza musicale che unisce materia e emozione, tecnica e istinto, precisione e libertà.
Il Maestro, che in questa occasione si cimenta nel suo primo disco in tonalità maggiore, conferma così la sua straordinaria capacità di fondere stili e linguaggi, e la sua estetica musicale, libera e raffinata, che lo ha portato sui palchi più prestigiosi, dalla Steinway Hall di Miami all’Arena di Verona, passando per Piano City Milano, Milano Music Week e il Festival di Sanremo, dove nel 2024 ha diretto l’orchestra per Alessandra Amoroso, oltre che a essere conosciuto in tutto il mondo per il progetto «Il pianoforte che dipinge». E tra poco sarà possibile anche ascoltare le atmosfere del nuovo album dal vivo, in tre date speciali (ma il calendario è in aggiornamento): il 14 novembre al Teatro San Leonardo di Bologna, il 16 al Teatro Franco Parenti di Milano, per la rassegna The Music Room, e il 21 al Teatro Paisiello nella sua Lecce.
Maestro Mancarella, ci racconta come è arrivato a fare le sperimentazioni con il feltro per creare un suono così ovattato ma allo stesso tempo così aperto?
«È il mio primo disco registrato con questa tecnica e ho voluto applicarla con un pianoforte a coda. Il feltro, messo tra i martelletti e le corde, cambia proprio il timbro, lo rende ovattato, morbido, e io ne ho scelto uno particolare, della stessa qualità di quello usato per coprire la parte interna del pianoforte, molto sottile. Così il suono diventa tridimensionale, enorme, pur mantenendo le caratteristiche del pianoforte, e crea una sensazione di morbidezza. È come se il suono fosse avvolto da una coperta».
Il processo creativo come si è sviluppato?
«È stato diverso rispetto agli altri album. Tutte le persone coinvolte nel progetto pensavano che saremmo andati a registrare altrove, ma ho voluto fortemente comporlo nel mio studio. All'esterno c'è sempre una certa pressione, devi rispettare tempi, orari, non puoi davvero lasciarti andare. Invece ho scelto di registrare quando volevo. Ho annullato tutti gli impegni, ho preparato il pianoforte in quel modo, e ho creato l’ambiente giusto. Quando avevo dieci minuti liberi, andavo lì e suonavo qualcosa. Due brani sono presenti nel disco nella loro primissima versione per mantenere intatta l’emozione del momento. In alcuni si sente la pioggia, stava davvero piovendo, e i microfoni l’hanno catturata. Le produzioni aggiunte sono venute dopo, ma le tracce principali sono nate tutte lì. È un disco non “pettinato”, vuole solo essere autentico».
All'interno si sente la presenza dell’elettronica, di belle produzioni e di collaborazioni. Come sono nate?
«Io non chiamo le persone, ma le loro peculiarità, ho coinvolto chi aveva qualcosa di specifico da portare. E questo si vede anche nel lato visivo: la grafica, curata da Michele Giannone, è in linea con il mio gusto per i colori, il vinile giallo mi piace moltissimo. Questo progetto è pieno di persone che hanno creduto in me, e spero di ricambiare nel miglior modo possibile».
Dal punto di vista del live, come sarà strutturato lo show?
«Sarò sul palco con tre pianoforti. Tutta la parte delle produzioni e delle sequenze la gestirò io, dal vivo, perché mi piace mostrare che sto realmente suonando e creando in tempo reale. A Lecce soprattutto ci saranno più ospiti, ricostruirò la band originaria con tutti i musicisti, in cui c'è anche mio fratello Lorenzo...».
Lei riesce a rendere la musica strumentale accessibile a un pubblico ampio, anche se strizza volentieri l'occhio al pop...
«Non scrivo mai pensando a un secondo fine, e questo mi dà libertà. È vero però che, negli ultimi anni, anche grazie all’esperienza con Alessandra Amoroso, mi sono fatto conoscere da un pubblico più pop, che quando scopre la mia musica si appassiona. Il pubblico deve essere educato all’ascolto, proprio come quando da piccoli ci insegnano a mangiare ciò che ci fa bene. Oggi c’è tanta produzione, e in mezzo è difficile trovare cose interessanti, ma io continuo a proporre la mia musica. E penso che questo sia un buon momento per il pianoforte, ci sono tante playlist e progetti che sostengono questo tipo di sonorità».
Nonostante il successo ormai internazionale ha scelto di rimanere a vivere a Lecce. È mai stato un limite?
«No. Intanto perché sono meteoropatico! (ride, ndr.). Il clima influisce molto sul mio stato d’animo. Poi è anche per tradizione familiare, la mia famiglia vive a Lecce dal 1400, ho difficoltà ad andarmene. Vivere qui per me è un valore aggiunto: mi fa stare bene e mi ispira. Altrove probabilmente avrei fatto altre cose, magari più legate al pop, ma non sarebbe uscito ciò che ho fatto».
In chiusura, cosa vorrebbe che gli altri cogliessero ascoltando il disco?
«Soprattutto la frase che ho scritto all’interno del vinile: “Mettici sempre il cuore”. È un monito più per me, ma se gli altri lo faranno loro, ne sarò felice. Perché alla fine, se non si mette il cuore in quello che si fa, non ha senso farlo».