L'intervista

A Molfetta l'energia di Mauro Repetto: «La musica del passato piace perché cullava tempi più facili»

Bianca Chiriatti

Il fondatore degli 883 oggi per la prima giornata di MolFest, insieme a tanti ospiti: «Nel '91 quando ho sentito "Non me la menare" suonare fuori dall'Università di Pavia ho capito che stava succedendo qualcosa»

Molfetta si prepara a diventare capitale della cultura pop con il ritorno di MolFest, il festival che da oggi fino al 29 giugno trasforma la città in un universo di fumetti, musica, anime e immaginazione. La parola chiave di questa edizione è «Freedom», e proprio di libertà musicale, personale e creativa parlerà oggi Mauro Repetto, tra gli ospiti più attesi di questo primo giorno di festival alle 19:30 sul Main Stage, dove ripercorrerà la sua parabola artistica dagli esordi come anima visionaria degli 883 al suo percorso di autore e performer, fino all'ultimo singolo «Dj Sole». Il festival continuerà per tutto il weekend e tra gli ospiti vedrà gli Oliver Onions, sempre questa sera alle 21,30, Danilo Bertazzi, Dargen D'Amico, Giorgio Vanni, Martina Attili, Ubaldo Pantani e molti altri (il programma completo su molfest.it).

Repetto, cosa ci aspettiamo da questa performance?

«Sarà totalmente un'improvvisazione, porterò la chitarra, sarebbe bello intonare a cappella "Non me la menare". Non prometto una scaletta, l'ultima volta che ho fatto una cosa del genere siamo passati da De André alle sigle dei programmi tv...».

Tra l'altro è una situazione attinente al mondo di fumetto e anime, che legame ha con questo panorama?

«Molto forte, sono cresciuto con Tex, Zagor, la Marvel, ma anche L'Intrepido o Il Monello, letture che mi accompagnavano settimanalmente».

Ha qualche ricordo legato alla Puglia?

«È una regione che amo, ho un legame con il Teatro Petruzzelli di Bari dove raggiunsi lo "scudiero" di Claudio Cecchetto, il povero Franchino Tuzio che è mancato qualche anno fa. Partii per dargli delle cassette, gli chiesi: "È lei Franchino?" e lui mi rispose di no. Un mito vero. Nello stesso periodo successero cose straordinarie, era l'estate di "Reckless" di Afrika Bambaataa, ci incontrammo e mi disse: "Faremo un concerto a Milano, vi farò salire sul palco". E così è stato».

Una parabola di vita incredibile che nei mesi scorsi ha raccontato anche in uno spettacolo teatrale...

«È stato molto bello, una lunga tournée che purtroppo non ha toccato la Puglia, ma provvederemo senz'altro per la prossima. È stata una gioia, il pubblico ha risposto bene, è stato come tornare a fare l'animatore turistico».

Invece quest'estate è tornato con un singolo, «Dj Sole», che sarà colonna sonora di un nuovo spettacolo in concomitanza con la prossima stagione della serie tv sugli 883...

«Era qualcosa che mi frullava in testa da tempo, la musica fa quasi da scaletta per un'ipotesi di scrittura attoriale, e visto che io in primis sono un consumatore di musica, volevo qualcosa di leggero, energetico...».

E legato anche alle nuove tecnologie, come il video che accompagna il brano...

«Sì, anche se cerco di stare molto attento. Deve essere l'intelligenza artificiale nostra "schiava", non il contrario. Cerco di metterci attenzione, bisogna sperimentare ancora tanto, l'importante è che la musica sia sempre al centro».

Ha detto che è un grande consumatore di musica: cosa ascolta?

«Molto di quello che viene dalle cuffie dei miei figli a Parigi: rap francese, c'è uno sguardo più europeo, influenze mediterranee. Personalmente, invece, sono legato un po' al passato: mi piacerebbe fare qualcosa come le ballad ispirate a Bon Jovi, Aerosmith, con sonorità funky quasi alla Barry White».

La tendenza a rimanere legati al passato è molto attuale, secondo lei perché oggi è così comune riprendere campionamenti di canzoni già note per creare musica nuova?

«Sicuramente perché si va un po' alla ricerca di valori sicuri che hanno riscaldato segmenti del tuo passato, in cui sembrava tutto facile, si ripescano le canzoni che ti hanno cullato. Poi ho un po' l'impressione che ci siano meno creatività e meno soldi investiti per la musica. Paradossalmente i social hanno allargato le possibilità, ma la soglia di attenzione si è abbassata. Quindi siamo in un'epoca in cui c'è più democrazia, ed è tutto più orizzontale, ma bisogna fare i conti anche con i lati negativi».

Visto che MolFest è legato all'immagine, c'è una "fotografia" ideale che descrive questi suoi anni di carriera?

«Io che cammino davanti all'Università di Pavia nel '91 e sento uscire dalle casse "Non me la menare". Lì ho capito che qualcosa stava succedendo».

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