L'intervista

«Venti minuti di libertà», primo EP del salentino Emanuele Presta: «Bob Marley mi folgorò»

Bianca Chiriatti

Il giovane nato a San Donaci racconta in sei canzoni le sfaccettature della libertà. E svela come un video su YouTube lo abbia fatto innamorare della musica

È uscito il 17 maggio su tutte le piattaforme digitali «Venti minuti di libertà», l'EP d'esordio di Emanuele Presta, cantautore salentino (è nato a San Donaci, Brindisi) che da anni vive a Bologna. Si tratta di un concept in sei brani totalmente dedicato alla libertà in tutte le sue sfaccettature, tanto che ogni canzone riporta poi - tra parentesi - un «aspetto» di libertà: i ricordi, la vita, i sogni, la fuga, l'amore, l'arte. La «Gazzetta» ha incontrato il cantautore per scoprire qualcosa in più su di lui e su questo interessante progetto.

Sono nati prima i brani o il concetto che li unisce, quindi l'idea di libertà?

«Sarebbe bello dire che mi sono seduto a tavolino, ho scelto un tema e ho lavorato. In realtà ho scritto alcune canzoni, ma volevo dar loro un senso, non appoggiarle lì e basta. Tutte le sei sfaccettature che ho individuato hanno molto a che fare con il senso di libertà. Non ho un modus operandi per comporre: scrivo un pensiero o un giro armonico, poi mi concentro più di notte, perché il traffico mi distrae. Oppure mi ispiro guardando un bel film drammatico».

Quando ha deciso di voler provare a fare musica seriamente?

«Da bambino registravo le mie compilation sullo stereo di mio papà, e riascoltandole da adolescente mi sono fatto i complimenti. Avevo bei gusti: Battisti, Red Hot Chili Peppers, e tutto quello che passava in radio nei primi anni Duemila. Poi un giorno, la folgorazione: ho visto su YouTube un video di Bob Marley che suonava e cantava "Redemption Song". Mi sono innamorato, volevo replicarlo a tutti i costi, allora ho comprato una chitarra su eBay».

Un colpo di fulmine. Quindi suona anche?

«Una volta avuta la chitarra in mano mi sono reso conto che rispetto alle poesie, che già scrivevo, cantare e suonare i miei pezzi mi dava più sicurezza. Le prime cose, lo ammetto, erano spudoratamente copiate dal cantautorato. Finché poi, suonando davanti ai miei amici, mi fecero capire che la mia roba aveva un valore. Sono stati loro a spingermi sul palco».

Ogni giorno sulle piattaforme escono centinaia di migliaia di brani, questa cosa le mette ansia?

«No, perché ho imparato che un artista deve partire dal suo piccolo e pensare a se stesso. Vale per tutto: ok osservare gli altri, ma anche se non va bene la prima volta uno deve andare avanti. Non penso più a quello che dicono gli altri, le canzoni sono infinite, ma ciò che sto facendo sta funzionando, la gente risponde, a breve cominceremo un giro di live e non mancheranno date in Puglia. Sono soddisfatto».

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