L'intervista
Cinquant'anni di Pfm: «Il nostro rock totale riparte dalla Puglia»
Due concerti in programma, il 22 al TeatroTeam di Bari e il 23 al Politeama Greco di Lecce
Premiata Forneria Marconi, un nome nell’Olimpo della musica mondiale da oltre 50 anni: Franz Di Cioccio e compagni tornano sui palchi d’Italia con il tour Pfm 1972-2023, prodotto da D&D Concerti, che parte dalla Puglia. Sabato 22 aprile alle 21 la band sarà al TeatroTeam di Bari, il 23 aprile al Politeama Greco di Lecce, tappe organizzate da Aurora Eventi. I pochissimi biglietti rimasti sono in vendita su Ticketone.
La data leccese, quasi sold out, sarà aperta dagli Abash, band salentina tornata sulle scene dopo una pausa con nuovi progetti e una nuova voce. Il nuovo disco della Pfm esce il 19 maggio, The Event - Live in Lugano, album dal vivo registrato lo scorso agosto. La «Gazzetta» ha intercettato Di Cioccio e Patrick Djivas che raccontano l’emozione di ripartire dalla Puglia: «Ci torniamo sempre volentieri, il pubblico è affettuoso e l’energia bellissima».
In 51 anni oltre 6mila concerti: qual è il vostro segreto?
«È semplice: noi facciamo musica, improvvisiamo, ogni show è diverso dal precedente. È uno stimolo per noi perché ci divertiamo e non replichiamo mai, è quasi una jam session. Un conto è scrivere canzoni per un disco, un altro è creare qualcosa davanti a un pubblico che cambia ogni volta. Sarebbe impossibile seguire tutte le sere nella stessa linea, non rientra nel nostro dna. È un modo di suonare che ci piace chiamare “al dente”, come la pasta, che raggiunto quel punto la si tira fuori quando vuoi».
Niente computer nei vostri live, eppure la tecnologia vi aiuta con videoproiezioni e scenografie virtuali…
«È fondamentale, fa parte dell’evoluzione della musica. Non siamo contrari, basta che non ci metta i bastoni fra le ruote. Non suoniamo tutti i giorni alla stessa velocità e questo ci dà un senso di libertà. Un lavoro creativo non può essere svolto in modo matematico e ripetitivo: noi cambiamo le scalette, osserviamo il pubblico, non siamo automi».
Il disco in uscita è la registrazione di un live a Lugano: eravate consapevoli che sarebbe venuto fuori un album?
«Assolutamente no. Avevamo voglia di registrare un disco dal vivo, ma non era stato deciso nulla, è stato tutto spontaneo. Musicalmente sapevamo di avere in mano cose molto belle, ma continuavamo a cambiare scalette e brani. Un risultato unico nel suo genere».
Musicalmente avete sperimentato tutto, ma il vostro nome è legato al prog italiano: com’è oggi la situazione?
«La parola “prog” appartiene a un’altra epoca. Oggi tanti gruppi nel mondo si dedicano a una musica “totale”, lasciano spazio alla fantasia. Noi abbiamo portato all’estremo questo concetto, viaggiando dal free jazz alla musica classica, ma agli esordi c’era poco materiale a disposizione, si ascoltava la radio, accendevamo la frequenza Am e incontravamo melodie da tutto il mondo, immagazzinando contenuti che sarebbero rimasti nostri per sempre. Ancora oggi quando vogliamo rinnovarci andiamo a pescare da questo enorme bagaglio».
Si può racchiudere una carriera così lunga in un pensiero?
«È difficile, abbiamo attraversato così tanti sogni che ne sarebbe bastato uno per essere soddisfatti. Suonare al Madison Square Garden, conoscere la Regina Madre, Leo Fender... Ma la più bella è rivedere le foto di 50 anni di vita, noi due, Franz e Patrick, sempre vicini come i nostri strumenti, basso e batteria, oggi come allora ancora qua».