Il libro

«Pensavo dormissi», una jam session dell'ironia

Ugo Sbisà

Gianfranco Salvatore: nelle mie pagine il bel Nulla dell'arte

Siamo sinceri, quante volte, nell’accostarci a un saggio critico o anche semplicemente a una recensione «di spessore», ci siamo trovati davanti a scritti autoreferenziali che dicevano ben poco sull’argomento trattato e, invece, molto di più sull’ego dell’autore? In un’epoca in cui la recensione giornalistica è ormai entrata di diritto a far parte della categoria dei «cari estinti» e la saggistica deve affrontare la dicotomia fra la diffusione in circoli iniziatici o il successo salottiero, lanciare un sasso nello stagno è cosa utile e necessaria. Se poi il lancio è a sua volta d’autore, tanto di guadagnato. «Pensavo dormissi» è il titolo di un libello (ed. Stampa alternativa, pagg. 127, euro 7,00) che Gianfranco Salvatore, musicista e musicologo acuto e onnivoro, nonché docente dell’Ateneo salentino, ci propone con una doppia chiave di lettura: una semplice, gustosa, parentesi di testi tenuti assieme dal «nonsense» o invece una molto più intrigante possibilità di lettura «parallela», nella quale cogliere contraddizioni e tic di un ambiente abituato a prendersi troppo sul serio.


La scelta sulla via da seguire è affidata ai lettori, anche perché, come spiega in premessa lo stesso autore: «Scrivo questo libro perché non ho nulla da dire. Perché riesco a interpretare solo l’arte, non il mondo. Lo scrivo sperando che non serva a nulla. O almeno a quel bel Nulla che era l’arte. Quando era bella». Il percorso potrebbe apparire talvolta accidentato, perché Salvatore mette su carta una vera e propria acrobatica jam session di parole nelle quali talvolta l’assonanza conta più del significato, l’apparente mancanza di senso ha la meglio sulla logica.


E però proprio in questo esercizio che non è tale, sfida chiunque si avventuri tra le poche pagine (il libro richiede forse più tempo a essere compreso che… letto) a mettere alla prova la propria agilità mentale. Il risultato potrebbe a tratti rivelare un precedente illustre nella scrittura sapida e umoristica di Achille Campanile, ma in versione rivisitata e aggiornata ai tempi presenti o «reloaded», per usare un termine sempre più frequente nelle procedure musicali. Impossibile, per esempio, non provare la smorfia di un sorriso agrodolce quando, davanti alla riflessione su Cinema, Teatro e Musica, ci si accorge di trovarsi davanti alla identica definizione «variata» solo nelle due righe del cappello introduttivo.
O ancora, senza rovinare il gusto della lettura – e della scoperta – ridere divertiti per «Salomè – Ero Diade (adesso sono solo)», che Salvatore definisce un «abbozzo in vari atti grandi e piccoli da Gustave Flaubert, Oscar Wilde, Carmelo Bene e Carmelo Zappulla». Uno scritto che sa essere scanzonato e beffardo, proprio come un sonoro pernacchio. Dimenticavamo, l’autore ha origini campane…

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