La recensione

Pippo D’Ambrosio, un suono sospeso tra black e Oriente

Ugo Sbisà

Il percussionista barese firma il suo quarto album da leader: «A Peaceful Place»

Per il suo quarto album da leader – A Peaceful Place edito dalla A.MA. records di Antonio Martino – il percussionista barese Pippo D’Ambrosio ha scelto una fonte di ispirazione non esclusivamente musicale, orientando i propri interessi verso l’idea di pace e di serenità che abita i versi di alcuni pensatori e mistici orientali come il fondatore del sufismo Jalal Al-Din Rumi, Farid Ad-Din ‘Attar o Abd Al-Qadir Al-JIlani.

Un’ispirazione intensa quindi, che però non deve indurre a ritenere che il disco sia a sua volta orientato a una idea di misticismo sonoro, laddove la lezione desunta da questi personaggi sembra essere attinente più allo spirito positivo col quale accostarsi alle esecuzioni musicali, che non alla loro forma o ai loro contenuti espressivi, nei quali invece è ben rappresentato uno spaccato del vissuto di D’Ambrosio, percussionista di non comune versatilità. Qui l’orientamento stilistico è il frutto di un eclettismo mai casuale, nel quale, insieme con una sotterranea venatura jazzistica, sembra di cogliere lo stile di una musicista cult come l’afroamericana Erykah Badu, con i suoi riferimenti a tutto campo all’hip hop, al soul, ma anche a un recupero dell’afro-beat visto attraverso la lente della cosiddetta blacksploitation.
Nelle tredici tracce che compongono l’album – dodici originali e un alternate take – si passa allora da pensieri dello stesso D’Ambrosio e versi dei succitati mistici affidati alla lettura dell’australiano David Place – ormai barese adottivo – alle voci di due cantanti nostre come Donatella Montinaro e Serena Fortebraccio, che tratteggiano un percorso sonoro di grande suggestione. E singolare è anche la combinazione dei vari solisti impegnati che, pur mantenendo un nucleo originario, varia di brano in brano, conferendo così all’intera registrazione una veste cangiante.

Con D’Ambrosio a batteria e percussioni e con le due cantanti di cui s’è detto, si ascoltano infatti Giorgio Distante alla tromba, Mike Rubini e Francesco Lomangino ai sax, Domenico Cartago a pianoforte e tastiere, Gianluca Luisi al vibrafono, Marco Bardoscia al contrabbasso, Alberto Parmegiani alla chitarra e anche il dj Tuppi, impegnato ai turntables in The Pen and the Ink.
Con questi compagni di viaggio, l’ascolto delle singole tracce si rivela ricco di sfumature, mettendo in luce una musica a suo modo descrittiva e rievocativa tanto di stati d’animo, quanto di ideali immagini sonore, cosicché, ad esempio, di Waves si apprezza l’idea di ballad liberata dai vincoli della tradizione, mentre Changes si fa apprezzare per le sue sonorità contemporanee. Lasciando alla scoperta degli ascoltatori gli speech di Place, impegnato in A Paceful Place, My Path, Madman’s Lament e Be Like an Ocean (con una gustosa introduzione per solo contrabbasso), segnaliamo invece il bel The Winter Is Over, introdotto dalla vocina di Ermes D’Ambrosio – il figlioletto di Pippo – che contribuisce ritmicamente scandendo le sillabe «pu pa pu pu pa e Deeper Silence che si regge sui pregevoli interventi della tromba di Distante e del Fender Rhodes di Cartago. Wings and Feathers è un tema modale dall’andamento ritmico scoppiettante, mentre More Silence, a dispetto del titolo, è un brano di stampo quasi free.

Nell’ascolto complessivo, non è difficile cogliere di volta in volta i singoli riferimenti stilistici, ma il merito della registrazione è di saperli plasmare in modo omogeneo, creando un percorso che non smarrisce mai il proprio filo logico, pur non potendosi parlare di un vero e proprio progetto.

Privacy Policy Cookie Policy