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«Opus», il cult horror di Mark Anthony Green al Bifest: «Il mio John Malkovich dissacrante e originale»
Per 13 anni giornalista, oggi Green è alla sua prima prova da regista con una pellicola che riflette su mass media e culto della celebrità
Prendi una star alla Elton John e mettila dentro Midsommar, oppure dentro Get Out. Potrebbe essere riassunto così Opus, il film targato A24 proiettato in anteprima al Bifest, alla presenza del regista Mark Anthony Green. Con Ayo Edebiri (The Bear) e John Malkovich, Opus è l'ennesima variazione su un tema e un genere molto in voga in questi ultimi anni, anche tra i ranghi della stessa casa di produzione americana A24 (a cui il Bifest quest'anno dedica una retrospettiva): quello del cult horror, con ovvi riferimenti alla società moderna.
Protagonista è Alfred Moretti, una leggenda della musica che si prepara al ritorno sulle scene dopo 30 anni di silenzio. Per promuovere il suo nuovo album, invita in un ranch un gruppo selezionato di giornalisti, critici ed esperti di musica. L'esperienza si rivelerà sanguinaria.
Alla sua prima prova dietro la macchina da presa, Green propone una lettura disincantata e a tratti divertente del culto della celebrità, ma anche dei mass media e delle dinamiche di potere. «Ma nonostante tutto, io credo nell'umanità - racconta il regista, 36 anni -, ma credo più in ciò che l'uomo può dare a livello emotivo che intellettivo. Per ammirare l'umanità al cento per cento, dovrei ignorare molte cose che sono successe nella storia...». Un culto, quello nel film, che assume le forme di una vera e propria setta, quella dei "livellisti": «Non sono credente, ma tutto sommato credo che la religione faccia bene all'uomo. Chissà quante altre cose peggiori sarebbero potute accadere nella storia, se gli uomini non avessero tenuto fede in un qualcosa...»
«Nel film - prosegue - ho dato anche il mio punto di vista su quello che è il mondo dei mass media. Per 13 anni ha lavorato come giornalista, per questo nel personaggio di Ayo Edebiri, la giovane cronista, ho cercato di raffigurare le stesse dinamiche di potere che ho subito io. Credo che il mestiere del giornalista sia importantissimo, ma conosco anche il modo in cui a volte le parole vengono manipolate...»
John Malkovich, che veste i panni di un'affascinante, dissacrante e misteriosa rock star, è il punto nevralgico della pellicola. «Lavorare con lui mi è servito moltissimo - spiega il regista - perché nella rappresentazione di Moretti entrambi volevamo evitare di ispirarci alle "stranezze" di qualche vip reale. Non volevamo realizzare una sorta di feticcio di Prince o Davide Bowie, tutto ciò che abbiamo scelto delle sue bizzarrie è assolutamente unico e originale. Abbiamo elaborato una stranezza che fosse propria e intrinseca al personaggio».
Alla fine dei titoli di coda del film, appare un ringraziamento a Spike Lee. E, in effetti, la sua impronta si sente per tutto il film. «Io sono un regista nero. Non so se Spike Lee vedrà mai il mio film, però lui è stato in queste sale come me per tanto tempo, e ha combattuto per proiettare questi film di stampo avanguardista, "strani". E quindi non posso che avere profonda stima e gratitudine per lui. Ma anche per Jordan Peele, Takashi Miike (in particolare Audition, il mio film preferito, mi ha ispirato molto per Opus), Paul Thomas Anderson, la lista è lunghissima».
E non c'è solo cinema nelle sue fonti di ispirazioni: «C'è anche Miuccia Prada (il suo marchio si vede chiaramente in una ripresa, ndr), sono stato in fondo un giornalista di moda e spesso sono venuto in Italia, sono stato a stretto contatto con i direttori creativi, ho visto il modo in cui lavorano dietro le quinte. Allo stesso modo ho cercato di realizzare un film audace, immersivo come una sfilata di moda».
Nel cast anche la candidata all’Oscar Juliette Lewis, Murray Bartlett (The White Lotus), Stephanie Suganami (Qualcosa da Tiffany), Young Mazino (Beef), Amber Midthunder (Legion), Tony Hale. Dopo l’anteprima a Bari il film arriverà nelle sale italiane il 27 marzo distribuito da I Wonder Pictures.