Fritto Misto

Speriamo vada male Sanremo

Francesco Donato

È quello che vogliamo tutti ma non lo ammettiamo a noi stessi. Poi ti metti a letto, spegni la TV e il tuo subconscio ti regala le risposte

Speriamo vada male Sanremo. È quello che inconsciamente vogliamo tutti ma non ammettiamo a noi stessi. Uno share da record per la prima puntata, ospiti e musiche che scorrono di serata in serata, conduzione e circo mediatico da urlo, perdonando persino le poche ore di sonno e anche il fatto che il festival quest’anno finisca già dalla prima puntata in concomitanza con la sigla di Uno Mattina.

Tutti a giocare al fantasanremo, tutti a messaggiare su outfit da urlo e baci in salsa salentina. Ma manca qualcosa, e non parliamo della bellezza dei brani in concorso (anche se due anni fa su Blanco e Mahmood e lo scorso anno su Mengoni dal primo ascolto avresti puntato il reddito di cittadinanza o la pensione della nonna, quest’anno la vedo dura).

Guardi lo scorrere dei minuti, delle puntate, e avverti un vuoto: tutto colorato, tutto bello, tutto incredibilmente perfetto. Unico possibile neo la protesta dei trattori che minacciano di entrare a Sanremo se non verranno ascoltati: che non riesci a capire se sia più una protesta o voglia di portar via qualche cantante per un futuro più sicuro nel campo agricolo.

Poi ti metti a letto, spegni la tv, e il tuo subconscio ti regala le risposte: sogni il finto pancione del 1986 di Loredana Bertè, l’incursione di Cavallo Pazzo delirante che nel ’92 gridava “Questo concorso è truccato!”, la minaccia di suicidio del sig. Pino nel ’95 pronto a lanciarsi dalla galleria in diretta, Pippo Baudo in versione Avengers, la farfallina di Belen, la famiglia tradizionale italiana con 2 genitori eterosessuali e 16 figli, Bugo e Morgan. Capisci che ti manca tutto quello. Ma fortunatamente gli autori Rai, saggi, scaltri e lungimiranti, conoscono le nostre più profonde pulsioni emotive, le nostre debolezze, e ci regalano un momento di tv sensazionale come “Il ballo del qua qua” con John Travolta: momento epico, da mettere nella bacheca nei nostri ricordi subito dopo Bugo e Morgan, poco prima de “Il babà è una cosa seria” del ’89 di Marisa Laurito.

Per Russell Crowe, 24 ore dopo il “Traumavolta”, era come segnare un gol a porta vuota: troppo facile.

Guarderemo Sanremo fino a sabato notte, fra commenti, fantapunti e le nostre canzoni stonate senza autotune sotto la doccia. Ma almeno i nostri sogni, dopo “Il ballo del qua qua” di John Travolta, saranno tranquilli.

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