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Il reportage

Da Monteroni calzature fatte a mano da 115 anni: viaggio nel mondo di Fracap

A Monteroni, in via Fili, va così da più di un secolo. La famiglia Cappello realizza scarpe, pezzi unici, da tre generazioni

06 Settembre 2023

Francesca Di Tommaso (Video Graziana Capurso)

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Francesca Di Tommaso (Video Graziana Capurso)

LECCE - Monteroni, estate più calda di sempre. Via San Fili è deserta e assolata, l’ora di pranzo e l’afa non aiutano. La saracinesca di sinistra è abbassata quasi del tutto: tentativo vano di non far entrare il calore della canicola. L’ingresso di destra, invece, ha entrambe le ante a vetri spalancate: il pulviscolo della luce accecante conduce all’interno: macchine da cucire, tavoli da lavoro, file altissime di scatole per scarpe impilate contro le pareti: accanto, praticamente all’ingresso, una donna china su un tavolino infila lacci negli occhielli di scarponcini, poi li allinea, un paio accanto all’altro, su un carrello a vista: l’ultimo passaggio di un lavoro cominciato in fondo alle due grandi alle che costituiscono il locale. Per ogni specifica fase di lavorazione della scarpa è richiesto un determinato strumento per dar vita a calzature uniche fatte a mano. Ognuno è impegnato in un momento diverso per la realizzazione di calzature: c’è silenzio, parlano solo i macchinari, pochi, e le mani operose. Accompagnate dal frinire delle cicale e nell’odore penetrante di mastice e gomma.

A Monteroni, in via Fili, va così da 115 anni. La famiglia Cappello realizza scarpe, pezzi unici, da tre generazioni: sulla strada, parete a fianco all’ingresso, su una targa di ottone un po’ âgé, nemmeno troppo vistosa, campeggia in corsivo la scritta Fracap: nei pochi metri quadri di questi locali si muove il mondo dei fratelli Antonio e Michele Cappello, artigiani d’eccellenza della scarpa fatta a mano. Una scarpa nata per i militari e che ora gira per il mondo, dalla Russia al Canada, dall’Estonia alla Turchia, dalla Corea alla Russia agli United Kingdom. Negli Stati Uniti le Fracap sono da Kith, a New York gli scarponcini o gli stivali M120, diventati iconici nel mondo del casual e dello street fashion, li trovi sulla Quinta Strada, nel tempio del lusso Bergdorf Goodman. E Forbes consiglia le Fracap nella guida per gli acquisti di Natale. Collaborazioni sono in corso con Ronnie Fieg a New York, Clement Breton per Crafted Paris. Gli scarponcini dei fratelli Cappello sono ai piedi di Benjamin Hardman, fotografo australiano che vive in Islanda. Ma anche di tanti altri insospettabili estimatori di qualità, esclusività, tradizione innovativa.

“Fracap sta per Fratelli Cappello, il nostro cognome – spiega Michele, mentre il fratello Antonio continua indifferente a coccolare la scarpa che sta nascendo tra le sue mani così come gli altri dipendenti, senza interrompere il ritmo –. Il nostro più che un marchio è una famiglia: io e Antonio siamo la terza generazione di calzolai”.

Tutto è cominciato quando nonno Antonio realizzò il suo primo paio di scarpe nel 1908. Interamente a mano. All’epoca era così, e Antonio produceva stivali per gli agricoltori. Resistenti nel tempo: presto cominciarono a salire le richieste per i suoi stivali. Poi ci fu la Grande guerra, e Antonio dovette chiudere il laboratorio. Lo riaprì nel 1919, sempre a Monteroni, sempre nello stesso punto dov’è tuttora.

“Non so dire il motivo, ma Monteroni veniva definita “scarpa pulita” – racconta Michele - ed era famosa fin dall'inizio dell'800 per gli artigiani calzaturieri. Mio nonno Antonio era tra questi”. Negli anni '40, a rilevare la fabbrica di Antonio sono i suoi figli Alfredo e Giovanni. Sono giovani, entusiasti, intraprendenti. Cervelli artigiani in fuga, ma fuga in andata e ritorno. Nell’ufficio di Fracap c’è una foto d’epoca che li ritrae in doppiopetto, fianco a fianco e sullo sfondo c’è la Milano del miracolo economico di fine anni Cinquanta. “Sono mio zio Giovanni e mio padre Alfredo – spiega Michele -. Partecipavano alle fiere, proponevano lì i loro modelli, li vendevano. Anche noi frequentiamo le fiere, nascono così collaborazioni e proposte di prototipi”.

I giovani fratelli aiutano Fracap a sviluppare una nuova immagine incrementando la produzione con nuovi design e stili. Sperimentano con successo le più importanti tecniche nel mondo della calzatura. Negli anni '80 sono proprio i figli di Alfredo, Antonio e Michele, ad iniziare una nuova era. I fratelli insieme disegnarono una collezione militare per l'Esercito e l'Aeronautica Italiana introducendo nuovi stili che divennero presto famosi. Cominciarono a produrre scarpe anche per i Carabinieri e per l'Esercito della Marina.

“Mio padre è morto a 96 anni – racconta Michele -, ma fino a 92 anni continuava a venire qui nella bottega, a lavorare con noi tra i banchi, a dare consigli, a rigirare tra le mani suole e tomaie”. Nonno Alfredo cominciò realizzando scarpe robuste, utilizzando giubbe militari e copertoni di biciclette per le suole, e poi pelle di vacchetta. Assieme al fratello, in autunno girava per le fiere per venderle. La svolta fu quando ad un colonnello piacquero le loro calzature e i Cappello presero una commessa di 12mila paia di anfibi. “Mio padre ci raccontò che radunò amici, in tutto erano 14, per soddisfare la richiesta- spiega Michele -. E ancora oggi ogni nostra scarpa resiste anni ai piedi, e i nostri clienti possono rimandarcele indietro per cambiare la suola quando si consuma, cosa che non è possibile con altri tipi di scarpe”.

Michele spiega, racconta, ricorda, commenta: “Qui non abbiamo la manovia, che è la catena di montaggio dove ognuno da una sola parte di lavoro, come per le automobili. Si lavora con i carrelli, è una lavorazione manuale, come una volta. Siamo in 15 in tutto, e manualmente riusciamo a realizzare trentacinque, quaranta paia di scarpe al giorno, se con la manovia ne riusciremmo a fare anche cento, centoventi.

Ma a noi va bene così. Sul nostro sito c’è un configuratore e ognuno può creare la scarpa che preferisce e noi gliela realizziamo. Per esempio c’è un cliente, spagnolo, che deve essere ricchissimo – racconta divertito -. Compra quattro, cinque paia di scarpe alla volta, su misura perché ha un piede difficile. Gira il mondo, pensiamo per lavoro, ogni volta gliele spediamo in un continente diverso. E ogni volta arrotonda in eccesso il prezzo, di due, trecento euro”.
Le scarpe sono made in Italy al 100%: “pellame dalla Toscana, suole dal Veneto e anche dalla zona di Casarano, così come qualche fabbrica che ci realizza i lacci”.

Due i soci, Antonio e Michele, quindici dipendenti in tutto, per un fatturato di un milione e mezzo annuo. “Mio fratello Antonio disegna i modelli, noi qui formiamo calzolai, perché artigiani si nasce o si diventa. Ci vuole passione e cura: sennò duri poco”. Non 115 anni.

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