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Formula 1, Benetton: "Il ricordo più bello? La vittoria del mondiale con Schumacher nel 1994"

Roma, 14 nov. (Adnkronos) - "Il ricordo di questi 30 anni? Il valore della discontinuità è una cosa che poi ho fatto mia durante la mia vita. Quindi sono gli anni in cui non c'è solo il mondiale di Formula 1, io sono il giovane presidente, ma anche è il momento in cui io decido di fondare una società per i fatti miei, di non essere parte del gruppo di famiglia. Quindi anche quella è una discontinuità, un modo di pensare laterale. I motivi per cui penso che sia un bel documentario questo è perché siamo riusciti a mettere assieme questi ragionamenti, queste filosofie che hanno voluto essere, per me, anche un motivo di ispirazione in questo ruolo, da quando sono entrato nel gruppo di famiglia, 4 anni fa, dal punto di vista operativo e anche però l'importanza delle emozioni. Qui ci sono le vittorie, ci sono i drammi, ci sono tanti momenti tristi, penso all'incidente di Nannini, però ci sono anche grandi momenti di gioia e soddisfazione. Il più importante è forse il mondiale del 1994 con Michael all'ultima gara perché quell'anno era successo di tutto". Sono le parole di Alessandro Benetton alla première romana di ieri sera di 'Benetton Formula' il docufilm a trent’anni dai grandi successi nel Mondiale di Formula 1 -con Michael Schumacher tra i piloti e il titolo costruttori per la scuderia.

Il documentario sarà trasmesso in prima visione assoluta venerdì 28 novembre alle 22.30 su Sky Sport Uno, in simulcast su Sky Documentaries, in streaming su Now e disponibile on demand. Prima dell’esordio televisivo, sarà proiettato in anteprima cinematografica dal 14 al 16 novembre nelle sale del circuito The Space di Milano, Roma e Treviso. Realizzato dalla creativa casa di produzione romana Slim Dogs, il documentario ripercorre 12 anni di storia della scuderia: dal 1983, “quando l’Italia vestiva Benetton” secondo il giornalista Giovanni Minoli, fino al 1995, anno dei trionfi mondiali. Tra ricordi ed emozioni, il racconto evidenzia le scelte coraggiose della Benetton, inizialmente accolte con scetticismo nel mondo della F1, come quella di acquistare un vero team e diventare il primo marchio non automobilistico a dare il proprio nome a una scuderia.

Il documentario ripercorre la marcia trionfale della Benetton: dal primo podio conquistato da Gerhard Berger nel Gran Premio di Imola del 1986, alla storica prima vittoria nello stesso anno in Messico, fino all’arrivo di Michael Schumacher nel 1991. Dopo un terzo posto nel 1993, Schumacher si aggiudica la classifica piloti nel 1994 e ripete il successo nel 1995, portando la Benetton anche al trionfo nella classifica costruttori. Il film offre un ampio repertorio di immagini, molte inedite, mostrando scene ad alta tensione in pista e gli imprevisti drammatici che hanno segnato la storia di un team unico, allegro, colorato e coraggioso, guidato da Alessandro Benetton, oggi Presidente di Edizione.

La narrazione alterna ricordi personali, aneddoti e testimonianze di grandi protagonisti del team e del Circus della F1, tra cui Flavio Briatore, Ross Brawn, Rory Byrne, Bernie Ecclestone, Gerhard Berger, Martin Brundle, Ralf Schumacher, Luciano e Alessandro Benetton, con interventi di giornalisti e telecronisti come Carlo Vanzini e Ivan Capelli. “Benetton Formula” racconta non solo la storia di un team di Formula 1, ma anche quella di una famiglia. Come sottolinea Tina Brown, il docu-film rappresenta “la realizzazione della versione italiana del sogno americano”. La regia di “Benetton Formula” è affidata a Matteo Bruno (classe 1990), filmmaker e co-fondatore di Slim Dogs, già regista della docuserie RAI “I grandi dimenticati” e della docuserie digitale “Perché proprio tu?”.

"Ci sono tanti aneddoti tra questi i 'pisolini' di lei e Michael Schumacher dietro nel paddock? Sì, era lui che effettivamente, poi ho scoperto che riusciva anche a me la cosa, in realtà mi riusciva naturale, non è che ho copiato da lui, però insomma mi impressionava questo fatto che entravamo nel motorhome, c'era questo piccolo divanetto e lui rannicchiato là fino a 5 minuti prima di andare nel pit lane, mettersi in macchina, il casco magari sotto il sole cocente e sfrecciare a 300 all'ora alla prima curva. Capivo che il ragionamento era quello di una persona che aveva fatto talmente bene i compiti per casa che non aveva più niente da recriminare o da chiedere a se stesso, quindi poteva riposarsi ed essere concentrato per la sua partenza", ha aggiunto Alessandro Benetton.

"Michael Schumacher è un buon esempio di uomo, perché era molto solido, giovane, era qualche anno più giovane di me, io ero giovanissimo ma lui ancora più giovane, molto maturo, chiedeva molto agli altri perché dava l'esempio chiedendo a se stesso e questo mi piaceva. Non aveva la pretesa di essere popolare dal punto di vista empatico, forse questo non era il suo forte, però mi piaceva proprio il fatto che lui non cercava quello, ma cercava il suo mestiere, di farlo al meglio e questo faceva emergere una parte emotiva del suo carattere molto importante, perché ho proprio il ricordo fervido, proprio il ricordo presente di lui, una delle prime volte che sono andato a vederlo a delle prove su un circuito, che non aveva mai fatto prima, e aveva fatto il record della pista ed è uscito dalla macchina, era un test, è uscito dalla macchina con gli occhi lucidi mi ha guardato e mi dice tu non puoi immaginarci cosa si può fare con una macchina come questa", ha ricordato Benetton.

"Flavio Briatore? Ci divertivamo molto anche perché lui aveva questa capacità di essere ironico e di sdrammatizzare e per cui avevamo fatto una rottura anche in questo senso, anche un po' prima che lui arrivasse con il discorso dei colori, della moda, delle fotomodelle, ma con lui avevamo proprio rotto il ghiaccio e penso che il nostro vantaggio fosse quello che sicuramente lui era un grandissimo interprete della discontinuità, proprio forse perché avevamo poco da perdere, sapevamo che non eravamo blasonati per pretendere, però facevamo un passettino ogni giorno alla volta, prima prendendo un buon ingegnere poi volendo costruire una fabbrica e in questo avanzamento riuscivamo anche a essere ironici. Qui sembra che ci sia gente che fa i gelati perché vuole mangiare il gelato del suo gusto, noi invece siamo qui per vendere i gelati, per cui questo era il tipo di spirito che noi portavamo".

"Io penso che è sempre possibile inventare qualche cosa di discontinuo c'è un'analogia anche con una narrazione abbastanza simile che è quella della Red Bull. Il mondo dello sport credo possa sempre darti questa possibilità, sotto forma probabilmente diversa, nel senso che diventa sempre di più con questi numeri grandi, enormi che stanno diventando sempre di più delle organizzazioni vere e proprie insomma come la Formula americana o come la Formula 1, più che delle attività di tipo quasi filantropico locale, questa è una direzione che vedo in maniera abbastanza chiara", ha spiegato Alessandro Benetton.

"Alla fine è stato interessante fare questo percorso a cui io tenevo molto per due ragioni prima di tutto perché appunto rappresentava una soddisfazione, rappresentava un buon modo per raccontare anche ai giovani che tante volte ci vuole anche il rischio, non può essere sempre tutto calcolato, quindi l'idea all'inizio era quella di un video per Instagram, e poi invece questi ragazzi, e anche in questo insomma penso che di poter vantare un gesto Benetton, di aver scelto dei ragazzi molto giovani che non avevano mai fatto un documentario e questo mi inorgoglisce molto perché è una scelta in assonanza con la nostra storia. Ed è stata un'ispirazione, una cosa che credo che sia utile anche per tutti al nostro interno del gruppo perché rappresenta anche il senso di direzione, di traiettoria che avevo in mente quando sono entrato nel gruppo 4 anni fa, che è quello di ritornare a questo spirito questo modo discontinuo di fare le cose. Abbiamo cambiato l'80% del management delle nostre partecipate, il 75% del perimetro e in qualche maniera ho voluto tenere a mente questo fatto che ci voleva sicuramente responsabilità, ma anche un po' di coraggio e di discontinuità penso che possa essere una buona bandiera per noi anche per ricordarci che quando magari lo siamo stati di meno le cose non sono andate benissimo".

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