spettacolo
'Il figlio più bello', storia di una famiglia che ha affrontato l'autismo con successo
Il docufilm sarà proiettato domani alle 17 al Museo MaXXi e il 24 ottobre alle 17.30 al Cinema Giulio Cesare
Roma, 22 ott. (Adnkronos) - Quando Matteo nasce nel 1978, in Italia non si sa cosa sia l’autismo. I suoi genitori, la scrittrice Clara Sereni e lo sceneggiatore Stefano Rulli, passano anni difficilissimi, tra notti insonni, diagnosi sbagliate e crisi di aggressività del figlio. Nel 1991 a Perugia trovano una psichiatria più avanzata in grado di aiutarli e si spostano in questa città. Ed è qui che daranno vita ad una Fondazione e ad un esperimento pilota di convivenza, tra il figlio e degli studenti universitari. A raccontare la storia di Matteo e dei suoi genitori è 'Il figlio più bello', un film documentario di Giovanni Piperno e Stefano Rulli, presentato alla Festa del Cinema di Roma nelle sezioni Special Screenings. Le proiezioni sono in programma domani 23 ottobre alle 17 al Museo MaXXi e il 24 ottobre alle 17.30 al Cinema Giulio Cesare.
Il docufilm è il racconto di Clara e Stefano, genitori di Matteo, che hanno cercato di affrontare con nuovi strumenti la malattia mentale del figlio, senza rinunciare alla propria vita e ai propri talenti, ma aiutandolo a costruirsene una tutta sua, fatta di rapporti e di una casa autonoma con altri coinquilini come Marco, con cui vive da molti anni. Il tempo è passato. Adesso Clara non c’è più e Matteo sta per intraprendere un viaggio che lo porterà all’altro capo del mondo, in Vietnam. Ma quello che è il coronamento di ciò che sembrava un sogno impossibile, risveglia nel padre un profondo disagio che lo costringe a misurarsi con un passato e un dolore rimosso; ed è questo percorso – in un intreccio tra passato e presente - che racconta il film.
"Vent’anni fa, il docufilm 'Un silenzio particolare' nacque un po’ per caso - scrive Stefano Rulli nelle note di regia - per raccontare l’esperienza di una ‘vacanza particolare’ in un casale della campagna umbra di ragazzi con problemi mentali de 'La Città del sole', la Fondazione creata poco tempo prima da me e mia moglie Clara. Tra quei ragazzi c’era anche mio figlio Matteo, che fin lì aveva detestato il mio lavoro, vissuto come un nemico sconosciuto che rubava spazio al nostro rapporto. E che forse amavo troppo. Quelle riprese sono state anche un modo per coinvolgerlo nel mio mondo, vivendo insieme per giorni e giorni quel gioco meraviglioso che è il cinema. Ne 'Il figlio più bello' la strada scelta è stata diversa: Matteo che faceva un viaggio di un mese con un’altra persona in Vietnam era l’immagine di quanta strada aveva fatto per andare nel mondo senza bisogno di me". "C’è da dire - prosegue Rulli - che girando questo film, l’unico rimpianto è non aver potuto girare in parallelo un altro film che mi scorreva davanti agli occhi: quello in cui fonici, microfonisti, macchinisti e addetti alla produzione hanno costruito, giorno dopo giorno, un rapporto tutto loro con Matteo e gli altri ragazzi della Fondazione. Ma anche con psichiatri, psicologi e operatori de 'La città del Sole'. Un rapporto fatto di piccoli gesti, qualche battuta e poche domande, ma anche di qualcosa di molto importante che ci accomunava tutti: la convinzione che per cambiare la mentalità della gente decisiva è la creatività, quella artistica così come quella sociale".
"Quando nella primavera del 2023, per il venticinquennale della sua Fondazione, Stefano mi ha chiesto di dargli una mano per realizzare un documentario sugli appartamenti dove studenti universitari vivono con persone con sofferenze psichiche - racconta Giovanni Piperno - ne sono stato felice ed onorato. Al ritorno da quei sopralluoghi però ho espresso la mia convinzione che la sua storia familiare fosse più forte di quelle degli abitanti degli appartamenti. Stefano non ama particolarmente essere al centro della scena - continua il regista - ma da grande uomo di cinema qual è, non solo ha accettato il cambio di rotta, ma si è messo in gioco fino in fondo, in un percorso che stavolta lo vedeva anche vero protagonista del film. E se nel cinema della realtà l’imponderabile è sempre il dono che si aspetta, in questo caso però ci ha anche condotto verso un percorso complesso e doloroso, al quale Stefano non si è mai sottratto; forse perché lo ha sentito utile sul piano personale, oltre che su quello artistico. E se così fosse, comunque non sarebbe stato l’unico ad aver utilizzato questo lavoro per riconciliarsi con un pezzo della propria storia: fin dall’inizio anch'io sentivo estremamente necessaria la presenza di Clara Sereni nel film, e credo di aver trasferito su di lei il desiderio di riavvicinarmi a mia madre, morta a 59 anni nel 2001, dopo aver sofferto per gran parte della sua vita di problemi psichici".