Lavoro
Ex Ilva, il governo convoca i sindacati il 18 novembre per riprendere il dialogo
Il tema principale sarà la prospettiva occupazionale
«Il Governo, dando concreto seguito alla disponibilità a proseguire il confronto sull'ex Ilva, riaffermata in occasione dell’incontro di ieri, ha convocato le organizzazioni sindacali per martedì 18 novembre, alle ore 15,00, presso la Sala Verde di Palazzo Chigi, al fine di riprendere il dialogo sulle prospettive occupazionali dei lavoratori del Gruppo». Lo riferisce una nota di Palazzo Chigi.
Le parole di Urso
«Ieri sera ai sindacati abbiamo illustrato in maniera compiuta e in piena trasparenza e responsabilità sia lo stato dei negoziati, che in questo momento procedono con tre attori stranieri, sia la gestione dell’amministrazione straordinaria». Così il ministro delle Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso, a margine del question time alla Camera. «I sindacati - ha aggiunto - sono rimasti critici perché abbiamo affermato che vogliamo una veloce decarbonizzazione, come ci è stata chiesta dagli enti locali. Noi dobbiamo tener conto delle condizioni reali e le condizioni reali sono che c'è un solo altoforno in funzione, perché il secondo che avevamo riattivato è sotto sequestro probatorio della magistratura, quindi dipende dalle decisioni di un altro organo istituzionale. Dobbiamo prendere atto della realtà: il Comune è contrario all’approdo di una nave rigassificatrice, e ne hanno preso atto coloro che, per esempio come Baku Steel, puntavano sull'asset energetico con una nave rigassificatrice in cui potessero commercializzare anche la loro produzione nel Mediterraneo. Dobbiamo prendere atto che attraverso il gasdotto è difficile che possa aggiungere ulteriore gas necessario per gli impianti e stiamo lavorando in maniera assidua per assicurare che sia fornibile fornire il gas per gli impianti necessari e per almeno un impianto Dri, affinché l’investitore possa avere la certezza di almeno una parziale produzione di preridotto nel sito di Taranto».
Il commento di Giustizia per Taranto
«L'ex Ilva è arrivata alla fine del suo ciclo industriale». È quanto afferma il movimento Giustizia per Taranto in una nota dal titolo emblematico: «Siamo ai titoli di coda della fabbrica! Vogliamo farci trovare preparati?». Secondo l’associazione, le ultime notizie sullo stabilimento confermano un declino ormai irreversibile. «Entro dicembre - si legge - andranno in cassa integrazione quasi 6.000 lavoratori su circa 10.000, mentre il Governo parla di quattro anni per lavori di messa in sicurezza e per la costruzione del nuovo impianto DRI legato alla decarbonizzazione».
Il movimento denuncia l’assenza di garanzie occupazionali e di un vero acquirente, nonostante le ipotesi di trattativa con fondi esteri come Bedrock, Flacks Group, Baku Steel e un quarto soggetto ancora riservato. «Nessuno investirebbe in una fabbrica da rifare da zero, senza un piano industriale chiaro e senza fondi certi», sottolinea l’associazione.
Per Giustizia per Taranto «la fabbrica non garantisce più lavoro e non ha mai garantito salute. La chiusura dell’area a caldo è una necessità storica, non una tragedia. Taranto deve essere liberata da un modello industriale tossico: la riconversione è possibile, ma l’acciaio va prodotto altrove».
«Ci sono migliaia di lavoratrici e lavoratori che finiscono in cassa integrazione perché, come denunciano i sindacati, non c'è un piano di rilancio e di decarbonizzazione dell’ex Ilva e il governo continua a non dare risposte. L’ultima decisione del ministro Urso non solo contraddice gli impegni presi sul piano del rilancio industriale e della decarbonizzazione, ma di fatto rappresenta un piano di chiusura dello stabilimento. Fermare la continuità produttiva "significa perdere il treno della transizione ecologica».
Così il Partito della Rifondazione Comunista di Taranto, per il quale «si conferma ancora una volta la totale assenza di una strategia industriale pubblica e sostenibile per tutto il gruppo siderurgico in amministrazione straordinaria».
«Il governo Meloni - si legge nella nota - invece di garantire investimenti e controllo pubblico, scarica il fallimento della gestione privata sulle spalle dei lavoratori, mettendo in cassa integrazione 6mila addetti e arrivando a proporre la chiusura di alcuni reparti».
«Solo la nazionalizzazione può garantire un piano serio di riconversione ecologica, sicurezza sul lavoro, tutela ambientale e occupazione stabile» conclude Rifondazione Comunista, annunciando sostegno «a ogni mobilitazione per difendere lavoro e futuro a Taranto»