il processo

Taranto, fallimento di banca Magna Grecia: il tribunale assolve tutti gli imputati

ALESSANDRA CANNETIELLO

Il pm aveva chiesto per tutti la condanna a 6 anni, ma «il fatto non costituisce reato»

Sono 12 le assoluzione per altrettanti imputati nel processo derivante dall’inchiesta sul fallimento della banca Popolare della Valle d’Itria e Magna Grecia: 3 milioni di euro di prestiti concessi senza garanzia e altre operazioni finanziarie che, per la procura, avevano determinato il tracollo dell’istituto di credito cooperativo nel 2012. Il collegio dei magistrati presieduto dal giudice Elvia Di Roma ha accolto in pieno la tesi del collegio difensivo composto, tra gli altri, dagli avvocati Egidio Albanese, Lorenzo Bullo, Giuseppe Risola, Gianfranco Chiarelli, Dante Castellana e Vincenzo Sapia, che in dibattimento hanno sempre sostenuto che la valutazione dei rischi dei prestiti era stata elaborata dai consulenti della procura solo dopo il tracollo dell’istituto, fornendo una ricostruzione parziale della vicenda. Nel corso della sua requisitoria, la pubblica accusa aveva chiesto una condanna a 6 anni di reclusione per tutti gli imputati.

A processo sono finiti alcuni componenti del cda, tra cui l’ex parlamentare di Forza Italia Giuseppe Lezza, l’imprenditore Aldo Cassese, l’ex presidente del Taranto calcio Luigi Blasi e poi Nicola D’Ippolito, Anna Cassano, Giovanni Lenoci, Roberto Maggi, Cataldo Ciccarone, Luciano Reale, Luigi Ecclesia e anche i direttori Giorgio Guacci e Francesco Minno. Ma anche l’ormai deceduto presidente del consiglio di amministrazione della banca ed ex senatore di Alleanza Nazionale, Giuseppe Semeraro. Erano stati giudicati in abbreviato e poi assolti anche il direttore generale Severino Giangrande e la responsabile dell’ufficio “fidi” Filomena Carucci. La posizione di un altro imputato fu poi stralciata nel corso dell’udienza preliminare con il gup Rita Romano.

Durante l’udienza preliminare i membri del cda avevano spiegato che le cessioni di credito erano state approvate in sede di consiglio. Alcuni dirigenti si erano poi difesi sostenendo che su quelle operazioni non avevano avuto alcun potere decisionale e che la concessione dei finanziamenti era indicata, in alcuni casi, da soggetti estranei ai dirigenti o al consiglio della banca.

L’inchiesta della procura tarantina aveva messo in luce le tappe che per gli inquirenti avevano portato dodici anni fa al crollo dell’istituto di credito: la cessione a BancApulia alla cifra simbolica di un euro era stata l’atto conclusivo di una serie di operazioni finanziarie. Almeno quindici, secondo l’accusa, i prestiti a rischio e senza garanzia accordati ad 13 aziende. Uno svuotamento che per gli inquirenti non aveva altro scopo se non quello di portare alla bancarotta e lasciare a bocca asciutta gli oltre duemila soci: di questi, almeno due di loro e anche quattro clienti si sono costituiti parte civile attraverso gli avvocati Lorenzo Pulito e Francesco Zaccaria.

Una ricostruzione, quella della procura, che evidentemente non ha convinto il collegio che ha infatti deciso di far cadere tutte le accuse a carico degli imputati.

Privacy Policy Cookie Policy