il caso

Taranto, «bloccato» a terra per 20 minuti muore paziente psichiatrico: in sette rischiano il processo

ALESSANDRA CANNETIELLO

L’asfissia la causa del decesso di un 31enne ospite di una struttura privata. Un milione e 500mila euro la richiesta di risarcimento avanzata dai familiari

TARANTO - Ammonta a 1 milione e 500mila euro la richiesta di risarcimento avanzata dai familiari di un paziente psichiatrico 31enne deceduto all’interno di una struttura privata di Taranto dove si trovava da due giorni e per cui 7 persone rischiano ora di finire a processo. È stata depositata nella mattina di ieri, infatti, la richiesta di costituzione di parte civile del fratello, assistito dall’avvocato Anna Maria Caramia e dei genitori della vittima: nel corso della prossima udienza il giudice Gianna Martino deciderà se accogliere o meno la richiesta dei familiari.

Nell’inchiesta coordinata dal pm Francesco Ciardo sono finite, come detto, 7 persone fisiche e la società che gestisce la struttura: un operatore sanitario di 29 anni, una assistente sociale di 50 anni, due educatrici professionali di 33 e 53 anni, la 49enne amministratrice della società a cui fa capo la residenza, e il 40enne referente del personale infermieristico e gestore di fatto. Gli imputati difesi dagli avvocati Daniele Causo, Paolo Marinò, Pierluigi Morelli e Giovanna Ruffo, devono come detto, rispondere dell’accusa di cooperazione in omicidio colposo.

Ma anche un paziente di 60 anni per cui il difensore Dario Palmieri ha presentato documentazione che attesta l’incapacità di intendere e di volere dell’assistito con la conseguente impossibilità di affrontare il giudizio, per cui il giudice ha nominato un perito che dovrà verificare le condizioni dell’imputato.

I fatti risalgono al febbraio del 2022 quando il paziente, in preda ad una crisi, si era scagliato contro l’operatore sanitario 29enne: in quel frangente, secondo la ricostruzione della procura, la vittima era stata atterrata e immobilizzata a pancia in giù e tenuta ferma dalle due educatrici, dal paziente e dal 29enne. In particolare quest’ultimo lo aveva bloccato con il peso del proprio corpo e aveva messo «il braccio intorno al collo tenendolo fermo» mentre lo colpiva «con pugni sulla spalla»: una manovra, che secondo il pm Ciardo era durata «ininterrottamente per circa 20 minuti» fino a quando la vittima aveva poi perso «definitamente i sensi» ed era morta per asfissia.

Secondo l’accusa, inoltre, l’assistente sociale era stata «continuamente informata» della grave situazione in corso ma aveva chiamato il 118 solo «tredici minuti dopo la perdita di sensi». Un ritardo che per gli inquirenti è da attribuire all’amministratrice della società e al 40enne ritenuto il gestore di fatto nonché referente del personale in servizio che in precedenza avevano impartito un ordine agli operatori: «non era consentito neanche nei casi di necessità e urgenza o di pericolo per l’incolumità per se stessi e i pazienti della struttura, di contattare autonomamente il 118 senza il loro consenso». Gli operatori e la stessa assistente sociale, per poter chiamare il servizio di soccorso, avrebbero dovuto «preventivamente documentare la richiesta con fotografie e video» per ottenere l’ok dai vertici dell’azienda.

All’amministratrice 49enne, inoltre, la procura contesta di aver collocato il paziente in una residenza «del tutto inadeguata» a gestire casi come quello della vittima: casi per cui il medico referente del Centro di Salute Mentale dell’Azienda Sanitaria lucana, 10 giorni prima, aveva raccomandato espressamente l’affidamento ad un’altra residenza della società specializzata, però, in pazienti psichiatrici gravi. Un’indicazione che, secondo la procura, non aveva impedito di sistemare il 31enne in un centro non attrezzato, dove poi era deceduto a 48 ore dal suo arrivo.

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