i nodi dell'acciaio
Ex Ilva Taranto: «Noi operai pronti a mobilitarci»
Brigati (Fiom): situazione di stallo e rischi per la sicurezza, dall’azienda solo promesse
TARANTO - Bernabè promette di far diventare Taranto polo della decarbonizzazione e dell’industria verde, ma lavoratori e sindacati continuano a denunciare la situazione di stallo che riguarda lo stabilimento, i rischi per la sicurezza, le difficoltà economiche dei lavoratori in Cigs, la mancanza di certezze per i 1600 lavoratori rimasti alle dipendenze dell’Ilva in as, la crisi dell’appalto per i ritardi nei pagamenti da parte del committente. Il 26 aprile si riunirà il consiglio di fabbrica Fim, Fiom, Uilm e Usb per decidere eventuali percorsi di mobilitazione. «Siamo consapevoli che il Governo e ArcelorMittal – spiega Francesco Brigati, lavoratore del Siderurgico di Taranto, componente della segreteria Fiom Cgil e coordinatore di fabbrica Fiom - sono restii ad avviare un confronto democratico e partecipato per affrontare le criticità ed è per tali ragioni che il movimento operaio deve tornare ad essere protagonista del cambiamento, mettendo al centro nuovamente il tema del lavoro e della salute e provando a cambiare le scelte calate dall’alto».
Dopo il mancato accordo sulla Cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione partita il 28 marzo scorso per un massimo di 3mila lavoratori in tutti i siti del gruppo, di cui 2500 a Taranto, cosa è accaduto?
«Abbiamo avviato un percorso di assemblee che è terminato da qualche giorno e che ha visto la partecipazione di centinaia di lavoratori di Acciaierie d’Italia, di Ilva in As e dell’appalto, ai quali abbiamo rappresentato la difficile fase in cui versa la vertenza ex Ilva e la necessità di mettere in piedi delle iniziative di mobilitazione per riportare al centro del dibattito politico e delle future scelte, dentro un processo di transizione ecologica che necessita di un coinvolgimento delle parti sociali per traguardare obiettivi chiari e fattibili, il lavoro».
Come giudicate l’interlocuzione con il governo e con l’azienda?
«In questi anni abbiamo assistito a provvedimenti d’urgenza e accordi nel chiuso delle stanze ministeriali che puntualmente hanno prodotto un arretramento in termini occupazionali e un utilizzo massiccio della cassa integrazione da parte della multinazionale, oltre ad una situazione di criticità per i lavoratori dell’appalto i quali vivono costantemente sotto ricatto di un sistema che penalizza l’anello più debole della catena. Non ultimo l’incontro al Ministero del Lavoro sull’avvio della procedura di cassa integrazione che si è concluso con un verbale di mancato accordo per l’assoluta indisponibilità dell’Amministratore delegato di ArcelorMittal ad ascoltare le organizzazioni sindacali negando, di fatto, la possibilità di gestire una fase di transizione legata alle prossime scadenze contrattuali previste per il prossimo 31 maggio 2022».
Quali i motivi della rottura?
«La Fiom Cgil ha provato ad indicare il perimetro entro il quale provare a costruire un accordo ponte che mantenesse fermi alcuni punti di merito a partire dagli esuberi zero, al rispetto dell’accordo del 6 settembre 2018 con la salvaguardia della clausola occupazionale per i lavoratori di Ilva in As, ad una rotazione equa del personale, all'integrazione salariale e ad un periodo transitorio di 12 mesi di cassa integrazione in attesa dei cambiamenti sui futuri assetti societari».
Pensate che il closing dell’accordo di investimento tra ArcelorMittal e Invitalia slitterà o salterà?
«La scadenza del 31 maggio, data in cui dovrebbero concludersi le clausole sospensive previste dall’accordo del 10 dicembre 2020, rivisitato a marzo del 2021, tra il governo Conte e ArcelorMittal per garantire l’ingresso di Invitalia nel capitale sociale di Acciaierie d’Italia in quota di maggioranza al 60%, sembra allontanarsi per evidenti criticità rispetto all’adempimento contrattuale delle medesime clausole sospensive. Queste, secondo quanto emerso dalla dichiarazioni del Ministro dello Sviluppo Economico, sono il rilascio della nuova Autorizzazione integrata ambientale, il dissequestro penale degli impianti e l’accordo sindacale».
Quale scenario prefigurate?
«È del tutto evidente che in assenza del dissequestro penale degli impianti dell’area a caldo non potrà concludersi l’iter sui futuri assetti societari con conseguenze gravi dal punto di vista degli investimenti ambientali, sul processo di transizione ecologica e ripercussioni pensatissime per i lavoratori che continuerebbero a vivere in una condizione di precarietà con ammortizzatori sociali che di fatto hanno già falcidiato i salari. Nel frattempo lo scorso 4 aprile i legali dei commissari di Ilva in As hanno presentato alla Corte d'Assise un'istanza di dissequestro degli impianti dell'area a caldo dello stabilimento siderurgico di Taranto che appare sempre più come un atto meramente burocratico rispetto ad accordi sottoscritti con la multinazionale».
Eppure, il presidente Bernabè ha assicurato operazioni finanziarie e investimenti per il rilancio della fabbrica…
«Ancora oggi il governo continua a dichiarare che il sito di Taranto è strategico per la produzione di acciaio del Paese ma non fa nulla per rilanciarlo rinviando una discussione di merito che affronti le difficoltà del presente e le prospettive future di una riconversione dell’attuale ciclo produttivo a carbone con una transizione ecologica, con la quale provare finalmente a dare risposte concrete dopo 10 anni dal sequestro preventivo del 26 luglio 2012. Anche la richiesta di dissequestro da parte dei commissari straordinari di Ilva in As arriva con grande ritardo e non si conoscono le possibili conseguenze».
Le risorse destinate a Taranto potrebbero dare una grossa mano. Non credete?
«Certo. Le importanti risorse previste dal piano nazionale di ripresa e resilienza sono un’occasione importante per la città e per il rilancio della siderurgia in Italia, ma necessitano di un processo trasparente, senza omissis e con una mission chiara con cui porre fine ad un’assurda dicotomia tra salute e lavoro che dura ormai da troppo tempo. Bisogna farlo il prima possibile, senza commettere gli errori del passato, attraverso l’introduzione di un sistema ibrido che traguardi la decarbonizzazione nel minor tempo possibile e che tenga in considerazione le linee guida della valutazione di impatto sanitario preventivo».
Cosa c’è da aspettarsi in vista del consiglio di fabbrica?
«Bisogna costruire una piattaforma rivendicativa che unisca il mondo del lavoro con la città e fare fronte comune su obiettivi chiari come il diritto alla salute e il diritto al lavoro. L’unico modo per conquistare un futuro sostenibile sia dal punto di vista sociale, non è più pensabile continuare a falcidiare i lavoratori con l’utilizzo della cassa integrazione, che dal punto di vista ambientale, è la lotta. Terremo conto dei tanti interventi e delle sollecitazioni pervenute nel corso delle assemblee per cambiare lo stato di cose attraverso il protagonismo dei lavoratori che devono riappropriarsi del proprio futuro».