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L'intervista
Enrica Simonetti
17 Gennaio 2021
«Non è una gara», ripetono tutti. Ma a 24 ore dalla designazione della Capitale italiana della cultura, gli animi s'infervorano. Il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, che è un entusiasta di natura, sente sferzare addosso il vento di queste ore di attesa, di fibrillazione (e di vero maestrale!). «Qui a Taranto, il fatto inconsueto - dice subito - è che venerdì 10mila persone hanno seguito la presentazione online... quasi fosse una partita della Nazionale».
E allora è una gara?
«No, io vedo in questa partecipazione la coscienza dell'orgoglio identitario, la voglia di creare qualcosa che non sia un semplice orpello ma un modo di intraprendere percorsi alternativi. Erano in collegamento tanti giovani tarantini, anche dall’estero, e questa voglia trasversale di fare impresa attorno alla cultura e al bello è la sintesi di ciò che auspichiamo e cioé un modello alternativo per Taranto. Qui qualcosa sta finalmente accadendo e, nonostante il Covid abbia un po’ frenato, la gente comincia a credere ad un’economia legata alle nostre radici. Siamo lontani dal traguardo, ma la breccia è stata aperta».
Voi avete puntato sulla parola «clima», sulla rinascita ecologica e non solo. Pensa che sia giusto portare avanti l'immagine di Taranto con una formula così «risarcitoria»?
«Solo se il risarcimento non viene inteso come piagnisteo, sport in cui siamo bravissimi non solo a Taranto ma in tutto il Paese. Abbiamo pensato allo slogan “La cultura cambia il clima”, intendendo un clima psicologico, economico, ecologico. Non è compensazione per i mali che Taranto ha subito e subisce. Taranto è un laboratorio nazionale, è una trincea complicata, ma se riesce il tentativo di invertire la tendenza – anche attraverso il driver cultura – quel modello può essere replicato in tutto il Mezzogiorno e la Puglia può ribaltare un paradigma».
Perché un cittadino di Taranto dovrebbe essere felice in caso di vittoria? Cosa cambierebbe nella sua vita?
«Io spero che, in caso di vittoria, questa diventi la capitale dei giovani: non solo monumenti, ma anche quelli. Faccio un esempio: nel cappellone di San Cataldo abbiamo otto statue realizzate da Giuseppe Sammartino, laddove Napoli con una sola - il “Cristo Velato” - è in grado di suscitare attenzione in tutto il mondo. Io credo in una capitale immateriale, fatta dei giovani e delle loro start-up. Altro esempio, la Biblioteca Acclavio, dove stiamo riallestendo 160mila volumi e dove abbiamo le epistole di Quasimodo. Ecco, io spero che decollino tanti patrimoni rimasti oscurati e penso anche di puntare, visto il suo cinquantenario, sulla concattedrale di Giò Ponti, quasi una nostra piccola Sagrada Famiglia che è un'espressione che mi fa pensare ai tanti passi in avanti compiuti a Barcellona. Anche noi, nel nostro piccolo, con i Giochi del Mediterraneo 2026, con la capitale italiana della cultura - se ci sarà - e tante altre iniziative, potremmo replicare quel miracolo spagnolo degli anni '90. Sono tutti step di avvicinamento al nostro Piano Strategico Ecosistema Taranto, da qui al 2030. Lo abbiamo raccontato nell'audizione, non è solo la promozione di un anno da capitale».
E questo «fidanzamento» con Bari?
«Abbiamo percepito che essere uniti è importante. Il rapporto con il sindaco di Bari Antonio Decaro è di lunga data e poi l'arrivo dell'assessore regionale Bray con delega alla Cultura ci ha permesso di sederci attorno a un tavolo e di creare un rapporto che ci porta a lavorare per il sistema Puglia, a fare un gioco di squadra».
Taranto però continua ad avere i suoi problemi...
«Io dico che è come per la matematica: se in un’equazione non cambiamo gli input, non avremo risultati diversi. Se noi aspettiamo dall'alto che qualcuno giri la chiave dell'altoforno, che qualcuno costruisca un ospedale... bene, aspetteremo e basta. E nel frattempo l'altoforno continuerà a farci del male. Se invece cerchiamo di avviare qualcosa di alternativo e non scarichiamo solo tutto sulle future generazioni, avremo cominciato un percorso. E la capitale è un acceleratore di questo percorso».
Ma è vero che Taranto è stata la città peggio governata d’Italia?
«Non lo so, ma so che se usi inventiva e capacità per creare nuovi percorsi, i giovani non scappano e la nuova classe dirigente non è mediocre. Noi stiamo cercando di interrompere un circolo vizioso. Sì, è stata malgovernata se vediamo questa tendenza di decenni e decenni, se vediamo il disfattismo e l’agitare lo spettro della morte e basta. Io credo che dobbiamo salvarci da soli o non ci salva nessuno».
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