La storia
San Severo, il coraggio di Giusy Marracino oltre i limiti e la carrozzina: sogna una scuola di ballo inclusiva
Madre e cittadina attiva lotta ogni giorno per abbattere barriere culturali e fisiche
C’è chi nasce con un limite e passa la vita a spostarlo un po’ più in là. Non per eroismo, ma per amore della vita. Giusy Marracino vive a San Severo, nel cuore della Capitanata, ed è una donna che ha scelto di non restare invisibile. Madre di due figli, moglie, cittadina attiva, Giusy non chiede corsie preferenziali: chiede di poter camminare - a modo suo - dentro una società che troppo spesso lascia indietro.
La sua disabilità motoria è dovuta a una mancanza di ossigeno alla nascita. Una condizione non scelta, ma mai accettata come confine. «Io sono una persona prima di essere una disabilità», ripete da anni, facendosi portavoce di una battaglia quotidiana. In un territorio dove l’inclusione è ancora fragile, Giusy sente il peso di barriere che non sono solo architettoniche, ma soprattutto culturali.
Ha sempre amato il mondo dell’estetica, della moda, dello spettacolo e della danza. «Perché solo per un limite motorio non dovrei sognare di ballare, di sfilare, di fare televisione?» si chiede. E qualche sogno lo ha già trasformato in realtà: ha partecipato a uno spot per Costa Crociere, ha sfilato come modella in un evento wedding a Torremaggiore, ha danzato un tango in carrozzina con un ballerino professionista durante una manifestazione nella sua città. «Per una sera mi sono sentita vista. Ma non dovrebbe essere un’eccezione».
Tra i sogni più forti di Giusy ce n’è però uno che torna sempre, come una musica che non smette di suonare: aprire una scuola di ballo inclusiva, proprio nella sua Capitanata. «Una scuola dove il corpo non sia un ostacolo, ma un linguaggio», spiega. Un luogo accessibile davvero, con spazi adeguati, ausili specifici e insegnanti formati, dove la danza possa diventare strumento di espressione e non di esclusione.
«Il ballo non è solo tecnica, è relazione, è fiducia, è libertà. E la libertà dovrebbe appartenere a tutti», dice Giusy. L’idea è quella di una realtà capace di accogliere bambini, ragazzi e adulti, con e senza disabilità, per abbattere fin dall’infanzia la paura della differenza. «Se cresci ballando insieme, crescere senza pregiudizi viene naturale».
Una scuola che non sarebbe soltanto un luogo artistico, ma un vero presidio culturale e sociale, capace di seminare inclusione reale. Perché, come ripete Giusy, «non basta parlare di pari opportunità: bisogna creare spazi dove possano accadere».
La quotidianità, però, resta complessa. La burocrazia sugli ausili è lenta e spesso disumana. «Una carrozzina nuova potrei riceverla anche dopo sei o sette anni. Ma chi la usa ogni giorno sa che non durerà mai così a lungo». Un modello leggero, fondamentale per l’autonomia, può costare fino a 6mila euro. A questo si aggiungono le spese per l’adattamento dell’auto: «Ho la patente, sono autonoma, ma servono circa 3.500 euro, senza reali incentivi».
Anche il lavoro resta un terreno difficile. «Potrei lavorare in ambito amministrativo, al front office, in segreteria. Ma qui le opportunità sono poche». Eppure Giusy non vuole andare via. «Sono nata qui, cresco i miei figli qui. Non è giusto che per vivere una vita dignitosa si debba per forza lasciare il proprio territorio».
Il cambiamento, secondo lei, deve cominciare dalla scuola. «Vorrei un’ora dedicata alla consapevolezza della diversità. Un’ora dell’empatia. Perché un bambino consapevole sarà un adulto senza pregiudizi». Educare allo sguardo, prima ancora che all’efficienza, è per Giusy il vero investimento sul futuro.
La fede l’ha sostenuta nei momenti più duri, soprattutto alla nascita dei figli. «Pensavo di dover mollare, poi mi sono detta: puoi barcollare, ma mollare mai». Accanto a lei una madre forte, una famiglia che conosce la fatica e un padre che da anni combatte la sua battaglia contro la sclerosi multipla.
Scrive poesie che non ha ancora avuto il coraggio di pubblicare e sta lavorando a un libro autobiografico. Racconta, testimonia, insiste. Perché la sua non è una domanda di pietà, ma di giustizia.
Da San Severo, Giusy Marracino consegna al territorio e alle istituzioni un messaggio limpido: oltre la sedia c’è la persona. E quella persona merita possibilità, dignità e futuro.