L'intervista
«Tu Quoque», il film con Maurizio Battista diretto dal pugliese Gianni Quinto
Nelle sale dal prossimo 3 aprile, lo spettatore viaggerà nell'antica Roma, tra risate e momenti di drammaticità
Con Andria e la Puglia sempre nel cuore, è a Roma che Gianni Quinto, classe ‘82, ha collezionato i suoi più grandi successi. Autore, sceneggiatore, regista e anche attore, attualmente è il riferimento artistico di Maurizio Battista, con cui ha firmato soggetto e sceneggiatura del film Tu Quoque, in tutte le sale dal prossimo 3 aprile. Il lungometraggio, che vede il comico romano protagonista nel ruolo di Massimo Quinto, rappresenta per lo sceneggiatore pugliese anche il suo esordio alla regia, in un viaggio che porta lo spettatore nell’Antica Roma, tra risate e momenti che non mancano di grande realismo e di drammaticità. Una produzione «Ballandi», in collaborazione con «LML Group» e «Alma», che ha nel cast, fra gli altri, anche Paolo Triestino, Francesca Antonelli, Giorgio Caputo, Milena Miconi, Guglielmo Poggi, Jane Alexander.
Gianni, come è nata la collaborazione con Battista?
«Ho firmato diversi spettacoli per lui e diretto un’importante campagna pubblicitaria. C’è un rapporto di fiducia reciproca, ma soprattutto un’assoluta sintonia artistica. Essendo un animale da palcoscenico, Maurizio in scena ha bisogno di un riferimento complice e in me l’ha trovato. Ci siamo conosciuti sul set di un film in cui c’erano degli amici in comune, avevo concluso da poco la mia collaborazione con Rodolfo Laganà. È nata proprio così con Battista, un po’ per caso, e si è rivelata un’intesa artistica duratura ed efficace».
Tu Quoque è un viaggio temporale nell’Antica Roma. Come è nata l’idea?
«Volevamo raccontare una favola moderna. Inizialmente avevamo pensato al western, poi, entrambi abbiamo preferito l’Antica Roma. Succede sempre la stessa cosa. Io lo chiamo e gli dico: “Maurì, te devo dì ‘na cosa. Secondo me..”. E lui, mi fa: “Ah Giannè, abbiamo pensato la stessa cosa”. E quindi è accaduto che essendo a Roma, non potevamo non parlare di Giulio Cesare e di Cicerone, personaggi anche più familiari per il grande pubblico».
Qual è il messaggio che questo film vuole lanciare?
«Che i problemi nell’Antica Roma erano gli stessi che abbiamo noi oggi. Un uomo contemporaneo, vessato dalla vita, che è poi il nostro protagonista, nel giorno in cui riceve l’ennesima brutta notizia, decide di schiantarsi col motorino per farla finita. Invece di morire, si risveglia nella Roma preimperiale e salva Giulio Cesare da una congiura che lo avrebbe portato alla morte. Da quel momento, è tutto un susseguirsi di scambi temporali e umani, che diventano utili per tutti e due i personaggi».
Insomma, le fatiche e i problemi dell’uomo sono senza tempo.
«Sì. I problemi dell’uomo non hanno età. Dico anche, senza spoilerare, che c’è un finale totalmente inaspettato, molto commovente. Il pubblico andrà al cinema pensando che vedrà un film comico con Maurizio Battista, e invece assisterà a una commedia con Maurizio Battista. Il primo genere fa ridere, ma non è detto che lasci qualcosa alla fine. La commedia, invece, è la tragedia in terza persona. “Tu Quoque” è un film che potrebbe essere ricordato proprio per l’interpretazione di Maurizio, in una versione assolutamente inedita. In alcune scene, gli spettatori resteranno addirittura increduli e, alla fine, il suo pubblico potrebbe perfino avere la lacrimuccia».
Il cast avvalora un film che racconta le mille sfaccettature dell’essere umano, con tutte le sue fragilità.
«Vero. C’è stato un grandissimo Triestino, che abbiamo amato tutti per professionalità e rigore, e che ci ha restituito un grande Giulio Cesare. Bravissimo anche Guglielmo Poggi, che interpreta suo figlio. E ancora, una meravigliosa Francesca Antonelli, Luciana De Falco. Interpreti fantastici, che hanno capito il progetto e l’irripetibilità di alcune scene che dovevano essere perfette al primo ciak. Ma soprattutto, sono stati tutti tanto comprensivi con me, che ho diretto il film prima sulla sedia a rotelle e poi sulle stampelle perché, proprio come il protagonista del film, durante un sopralluogo sull’Appia Antica, ho fatto una rovinosa caduta con il motorino e mi sono rotto una gamba».
Hai la Puglia nel cuore. Andria, tra l’altro, ti festeggerà il 5 aprile con un evento organizzato alla presenza del sindaco, dopo l’anteprima romana del 31 marzo.
«Quando ami tanto, c’è sempre un rapport conflittuale. Con la Puglia, che amo profondamente, è così. Mi manca tantissimo, ma a volte la sento stretta. Credo capiti a tutti coloro che sono andati via ai tempi dell’università. Mi mancano mia nonna, gli “strascinati” con le cime di rape e i miei ricordi da bambino. Le stradine, i riti. Poi ci sono anche le cose che mi ricordano perché sono andato via».
Ecco. Qual è il difetto più grande della tua terra?
«Il sentirsi perfetta. Essere reticente al cambiamento. Il nostro santo patrono è San Riccardo. Da noi si dice: “San Riccard è amant de forestier”. A volte, la nostra terra, apprezza i suoi talenti soltanto alla lunga».
E il suo pregio?
«I pugliesi possono conquistare il mondo».