Punti di vista

Quelle storie di vita interrotte dalla strada

rossella palmieri

Cosa unisce Elisabetta, Francesca e Lucrezia

Elisabetta e Francesca, madre e figlia. E Lucrezia. La Capitanata piange tre giovani donne nel pieno della loro vita, morte in due distinti incidenti stradali. E se fatalità c’è, vero è anche che c’è un altro tipo di ineluttabilità che non ha nulla a che fare con il Fato crudele. Perché della strada provinciale per Troia, fatalissima già solo per i tanti, troppi morti, pace non c’è mai stata, se s’intende per pace la sola e giusta messa in sicurezza. Si sono affannati i sindaci a dirlo a più riprese, ma come tante situazioni incancrenite, la provinciale per Troia resta così com’è, più immutabile che mai, teatro anche lei, fatalmente, di una guerra. E non quella cantata nell’Iliade. Come la cronica mancanza d’acqua – si succedono le generazioni ma il refrain è sempre lo stesso – così anche questa strada e non solo essa.

La sensazione che mai nulla si possa fare, la durezza di tre morti e un sempre più pervasivo sentimento di rassegnazione sono sentimenti del tutto giustificati. Che non si dica dell’indolenza o della tendenza a piangersi addosso, perché da piangere c’è, almeno davanti a tre bare. E poco ci è mancato che si sfiorasse un’altra strage, con un nordafricano armato di spranga sotto la cui traiettoria poteva trovarsi chiunque. Fatalmente anche qui? Prova a fare sintesi l’ex Presidente dell’Ordine del Medici Salvatore Onorati che ha raccontato per filo e per segno l’accaduto. Aggiungendo sconsolato di non sapere “quali siano le soluzioni per questa situazione, quelle spettano a chi ha deciso di fare politica”. Ma intanto noi cittadini non ci sentiamo sicuri da nessuna parte. Né su strada provinciale, né su strada cittadina. Sappiamo di non vivere nell’Eldorado che per definizione non esiste; ma ci pare del tutto ingiusto attraversare questa landa desolata non già e non solo con malinconia – è sotto gli occhi di tutti che la Foggia elegante e salottiera non esiste più, e sappiamo che quei fasti non sono stati un’allucinazione collettiva – ma anche con paura sempre crescente. Non ci sentiamo sicuri e forse non siamo più felici, e la felicità – non quella esistenziale ma intesa come uno degli indicatori del benessere immateriale di una città – non sappiamo proprio su che scala sia, semplicemente perché non c’è nel nostro immaginario. Fin qui l’amarezza; ma la mettiamo persino da parte, immaginando quella ben più cruda di chi ha perso Elisabetta, Francesca e Lucrezia. Che la terra sia lieve.

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