il pensiero

La statua del Pensatore al tempo delle «odiologie»

mariateresa cascino

Forse si chiede quanto benefica o malefica sia la politica per gli uomini. Molte cose sono state realizzate grazie a essa, ma quante invece sono state impedite, deviate, distrutte?

«Lontano dal potere è la via, la verità, la vita». Vengono in mente le parole del libro di Marcello Veneziani, Dispera bene: Manuale di consolazione e resistenza al declino mentre, camminando in Piazza Vittorio Veneto, si incrocia la statua del Pensatore, una piccola scultura in bronzo che rappresenta un uomo minuto con berretto in testa, seduto su uno sgabello cilindrico. Spalle piegate, sguardo corrucciato e fronte corrugata, ha un braccio posato sul ventre e con l’altro si sorregge il mento in posizione meditativa. Accostandosi alla sua sagoma, riecheggiano i suoni dell’alfabeto con cui si racconta il suo mondo contadino e arcaico, lontano dalla civiltà industriale che oggi sconvolge la vivibilità del pianeta e della società.

Probabilmente, oggi, osservando il fluire della storia e degli accadimenti cittadini, al Pensatore balenano in testa altre suggestioni e magari si sofferma a ragionare sulle mutazioni genetiche che sconvolgono i governati appena diventano governanti. Forse si chiede quanto benefica o malefica sia la politica per gli uomini. Molte cose sono state realizzate grazie a essa, ma quante invece sono state impedite, deviate, distrutte? E quante sarebbero state fatte meglio se non ci fosse stata la politica di mezzo? Da ieri a oggi, le lettere dell’alfabeto con cui si è costruito il patto sociale sono cambiate e la grammatica è stata sconvolta, mortificata, imbarbarita. Il Pensatore, come in un film, avrà scandagliato i fotogrammi della storia, in cui i protagonisti sono diventati tribuni della plebe, collettori del rancore e populisti che con i loro incentivi simbolici, su scala nazionale, hanno caricato di sfiducia la politica di professione, idealizzando l’uomo della strada e la moralizzazione della vita pubblica.

Il Pensatore, grazie alla sua antica saggezza, oggi è perfettamente consapevole e sicuramente starà considerando che i veri missionari non esistono, invece, quelli finti, sono e saranno sempre pronti a occupare il Palazzo con le loro nuove «odiologie». Tra sé e sé rimugina e riflette sul fatto che un tempo, forse, la politica intercettava qualche convinzione, aveva il sapore vago di un’idea in cammino nella storia, e ne ricorda il suo ideale afflato nelle lotte in cui si partecipava alla storia. Poi pensa che, alla fine, però, nessuno ti tutela, non c’è vera rappresentanza, nessun merito e nessuna giustizia. Trasformismo, tradimenti e ricatti fanno il resto. Allora medita e conclude che, tuttavia, senza nessuna polemica e voglia di correggere la politica, il vero potere è salvarsi da essa, sottrarsi ai suoi condizionamenti, impermeabilizzarsi tenendosi lontani dal caos del malgoverno. Per ripararsi, sublima l’impulso di far politica rimanendo nei suoi campi abbracciando così il pensiero di una dolce anarchia.

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