Punti di vista

Quel «Giorno del Perdono» che ha segnato la Storia

Giuse Alemanno

L’amnistia per i reati politici del 22 giugno 1946

Fa caldo. La nostra estate è caratterizzata da temperature aggressive, che tolgono il fiato. Anche l’esiguo spazio destinato alla tolleranza si restringe. Tutto infastidisce. Ogni reazione, così, diventa implacabile. E non basta salmodiare alla maniera di Tiziano Ferro: «Se quel che è fatto, è fatto. Io però chiedo scusa. Regalami un sorriso, io ti porgo una rosa». Il caldo nega il perdono. Eppure ieri, 22 giugno, sono passati 78 anni dal «Giorno del Perdono», una data che dovrebbe essere segnata in rosso sul calendario, al pari del 25 aprile e del 2 giugno.

Il 22 giugno del 1946 venne concessa dal Governo presieduto dal democristiano Alcide De Gasperi, e con a capo del Ministero della Giustizia il segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti, una amnistia generale per i reati politici, per promuovere la piena pacificazione del Paese. L’amnistia sarà applicata con grande generosità e porterà alla scarcerazione di molti esponenti del regime fascista, anche imputati di reati gravi. Era una Italia incompleta, quella di allora, una Nazione che non aveva nemmeno il Presidente della Repubblica, visto che il primo – l’avvocato Enrico De Nicola - si insedierà al Quirinale il Primo luglio del 1946, inaugurando la successione della dozzina d’uomini che porterà al professor Sergio Mattarella.

L’amnistia di Togliatti spaccò il P.C.I. Poco valore assunsero le ragioni del «Migliore», basate anche sul fatto che la nuova Italia nata dal dopoguerra non aveva ancora la forza per imporsi a giudici e magistrati benpensanti allevati nel ventennio fascista. La base partigiana, fuori e dentro al P.C.I., «supera il rispetto e la reverenza» - per dirla con Giorgio Bocca - nei confronti dell’amatissimo Segretario di Genova e, per la prima volta, lo contesta. Il resto è Storia che, magari, sarebbe opportuno si conoscesse, visto che quel che accade oggi dipende anche dai fatti di allora. Siamo un popolo poco incline al perdono, sia a livelli centrali, sia a livelli periferici. Il caldo, poi, aumenta gli arroccamenti sulle proprie ragioni, ignorando e vituperando quelle degli altri. Eppure anche una strategica maître à penser come Caterina Caselli lo ha reso noto: «Perdono, perdono, perdono, il male l’ho fatto più a me».

La consapevolezza della colpa e il pentimento del reo deve indurre alla clemenza. Un’epoca di pace nasce dalla capacità di perdonare. Sarà costata tanto quella firma sul decreto di amnistia a Togliatti, ma aveva ragione lui. Lui, Palmiro, il comunista: «Simply the best, better than all the rest», come cantava Tina Turner. E le tigri nere non sbagliano mai. Anche quando fa caldo.

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