Punti di vista
William Fiorentino e i figli leccesi di un lessico famigliare minore
Ritrovare la gioia di quella parlata stretta che slargava tra il tinello e le camere da letto delle nostre case
A casa mia era vietato parlare in dialetto, quando ero piccola questo divieto assoluto diventò il paradosso incarnato da una nonna napoletana ed una nonna fasanese che si incontravano in cucina, quando erano nostre ospiti, per bisbigliare nei rispettivi dialetti conversazioni tragicomiche e comprensibilmente ricche di gustosi equivoci. Da qui in poi, è tutta commedia.
Ci pensavo venerdì sera, seduta in platea nel Teatro Apollo gremito per la replica de Le rose di Sant’Arpazia, la nuova opera firmata da William Fiorentino, Maestro della commedia dialettale, autore leccese amato per il lavoro accurato che da tutta la vita dedica a quest’arte e che è tornato ad appassionare il pubblico con una commedia giallo-boccascesca in due atti portata in scena per la sua regia dalla storica compagnia teatrale leccese «Corte dei Musco» diretta da Diego Bevilacqua. A questa compagnia sono affezionata per averne conosciuto il fondatore, il maestro Gianni Solinas, che l’ha costituita nel 1996 e diretta fino al 2012, animo indimenticabile che è rimasto un faro anche dopo la sua scomparsa. Per anni, tantissimi attori e attrici sono entrati a fare parte di questo gruppo che ancora una volta porta in alto il teatro dialettale grazie ai protagonisti: Sergio Mello, Adriana Antonucci, Valeria De Vitis, Diego Bevilacqua, Lucia Gabrieli, Antonio De Vitis, Vincenza Caiulo, Tommaso Tempesta, Francesco Capoccia, Antonella De Blasi, Michelle Cazzella, Adriano Modona. Alla fine del secondo atto, durante gli applausi finali, William Fiorentino ha salutato il pubblico con una domanda che condensa anni di scrittura: «Vi siete divertiti? E allora ce buliti?».
E allora ho ritrovato la gioia di quella parlata stretta che slargava tra il tinello e le camere da letto, nelle corti e sulle grandi terrazze dove si asciugavano lenzuola matrimoniali e dizionari impossibili per imbastire i silenzi i segreti di famiglia esorcizzati da una risata. E’ una forza tellurica, che trova radici profonde nella sezione letteraria che è di fatto il teatro in vernacolo, sono pochi gli autori salentini presenti sugli scaffali con pubblicazioni specifiche. Basti pensare che vent’anni fa, le prime commedie di Fiorentino (Il mio teatro, Edizioni Il Raggio Verde) furono pubblicate in un volume tirato in un migliaio di copie, ad oggi pressoché introvabile, e preziosa testimonianza di un bisogno di testi teatrali in dialetto leccese. Perché siamo figli di un lessico famigliare minore.