Punti di vista

L’altare d’amore di Vera Di Lecce

Luisa Ruggio

Suggestioni e visioni nel nuovo disco della cantautrice e danzatrice

Qualche tempo fa, sono inciampata in un documentario. Qualcuno ha detto che la bellezza, intesa come verità, è un filo teso in cui si inciampa. Il documentario in questione, La scherma di San Rocco, firmato nel 1985 da Gigi Spedicato, reso fruibile sui social da Oronzo Marmone, fu realizzato da due protagonisti magici della scena tersicorea e teatrale salentina, Giorgio Di Lecce e Cristina Ria; due artisti scomparsi verso i quali questo tacco d’Italia ha un debito infinito, con particolare riferimento alle arti intrecciate alle vite e alla ricerca transculturale anche nell’ambito delle danze tradizionali che seppero unire, senza mischiare, e tramandare insieme alla loro sapienza vasta. Il loro lascito più fervido a questo nostro mondo che, grazie a ricercatori come loro, sa ancora recuperare l’antico per progredire, è la loro straordinaria figlia: la compositrice e danzatrice Vera Di Lecce.

E come sono inciampata una volta, così è successo la seconda: ho trovato in rete il teaser di Stuporosa, nato dalla ricerca di Francesco Marilungo, girato l’estate scorsa a Parabita nel convento abbandonato degli Alcantarini e nel chiostro dell’ex convento dei Domenicani. Fra le artiste che hanno preso parte alla ricerca coreografica sul pianto rituale delle prefiche, infatti, c’è anche Vera di Lecce che, proprio in questi giorni, festeggia l’uscita del suo nuovo disco Altar of Love. Il disco è pensato come un altare d’amore intorno al quale lasciar affluire i demoni per trasfigurarli danzando, cantando, suonando. E ascoltando i brani che compongono l’opera, dietro le maschere iconografiche di alcuni fra quei demoni, tutto si armonizza e si intreccia, tutto ne è «figlia», eredità e metamorfosi coraggiosa.

Il prossimo 24 novembre, all’Angelo Mai di Roma, un vero e proprio rituale elettronico sarà portato in scena in quel modo che solo Vera Di Lecce sa creare coi suoi synth e le percussioni a fare da ponte tra il Salento e il suo amato Giappone. In questo non-luogo musicale in cui si è portata anni fa lasciando la sua terra di origine, ma senza dimenticare, scrittura arrangiamenti e registrazione sono firmati da lei stessa nel suo home studio dove la sua sperimentazione raggiunge le vette dell’Himalaya che guida il cammino di rari artisti. La prima volta che la vidi sul palco, era poco più che adolescente, ipnotizzava con i Nidi d’Arac. Da allora ha superato i suoi Maestri, i mostri d’amore, i suoi creatori e adesso anche i suoi demoni custodi. Vera, fino in fondo.

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