A Bari tangenti sui funerali

BARI - Vestivano i morti e "spogliavano" i vivi. Si dedicavano a questo - secondo l'accusa - le 33 persone arrestate a Bari dai Carabinieri con l'accusa di aver fatto affari d'oro gestendo la vestizione, il trasporto delle salme e i funerali di pazienti morti in ospedali e in case di cura. Il "cartello" criminale avrebbe anche organizzato i funerali offrendo pacchetti "all inclusive". Per un funerale si pagava tra i 1.500 e i 5.000 euro.
Oltre ai 33 arresti (30 sono ai domiciliari) sono stati imposti undici obblighi di firma. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere (anche aggravata dall'aver favorito un'associazione mafiosa), concussione, corruzione, falso ideologico e rivelazione di segreti d'ufficio.
Complessivamente sono 51 gli indagati. Si tratta soprattutto di infermieri necrofori che lavorano negli obitori del Policlinico (dieci) e degli ospedali "Di Venere" (tre) e "San Paolo" (cinque), ma ci sono anche infermieri professionali (15) di tre cliniche: "Mater Dei", "San Giovanni" e "Villa Del Sole". Non mancano titolari e collaboratori di nove ditte di pompe funebri (Santa Rita, L'Umanità, Iof e Humanitas del gruppo Pacucci, Porcelli Rosa, La Cattolica, Funeral Center e Funeral Service e Abatantuono-Mitola); c'è anche un medico chirurgo del policlinico di Bari, Donato Santobuono, a cui è stato imposto l'obbligo di firma per peculato per essersi appropriato, avvalendosi della complicità di due infermieri, di farmaci e materiale sanitario dalla farmacia del Policlinico, che poi avrebbe utilizzato nel suo studio privato.
Secondo i carabinieri del reparto operativo di Bari, comandati dal ten. col. Vincenzo Trimarco, negli ospedali e nelle cliniche (Mater Dei esclusa) operavano cinque associazioni per delinquere composte da infermieri e da titolari di ditte di pompe funebri che miravano a gestire in modo esclusivo gli affari legati ai funerali dei pazienti morti in ospedale. Succedeva che venivano elargiti premi ai dipendenti dei nosocomi che segnalavano in tempo reale l'avvenuto o l'imminente decesso di un paziente: in questo caso la ditta versava tra i 300 e i 650 euro a chiamata, in modo da evitare contatti tra i parenti dei deceduti e le imprese concorrenti; invece, alle ditte che non facevano parte del cartello criminale veniva imposta una tangente di 50-100 euro per la vestizione delle salme dei pazienti e per il loro trasporto dall'ospedale a casa.
Alla spartizione degli affari non era estranea - secondo i pm Desirè Digeronimo e Francesca Pirrelli - la mafia. Nell'ottobre 2006, infatti, una nuova ditta di pompe funebri, tentò di insediarsi al "Di Venere", ma fu messa in fuga dal boss Antonio Di Cosola. Il pregiudicato, arrestato stamattina, è accusato di aver imposto ai necrofori del nosocomio la ditta di Rosa Porcelli (presso la quale è assunto). Per essere chiaro, Di Cosola fece radunare con un pretesto i necrofori davanti all'ospedale e li raggiunse assieme ad alcuni affiliati. Quindi, li minacciò: «Se non chiamate la Porcelli scoppia la guerra».
Criminalità o meno, gli affari facevano a gola a tutti: basti pensare che tutti e dieci i necrofori del policlinico sono stati arrestati. Per garantire il servizio, alcuni dipendenti sono stati trasferiti d'urgenza in obitorio da altri reparti.
Roberto Buonavoglia

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