Muretti a secco abbattuti l'ecodisastro in Puglia è incominciato così

di GIUSEPPE ARMENISE

Non c’è bisogno di scomodare la teoria della decrescita. Basta rifarsi alle buone, vecchie, sane tradizioni. E così, nell’era dei materiali edilizi iperinnovativi, torna utile volgere lo sguardo alla Puglia rurale che fu. Solo malinconia? A ogni evento meteorologico si usa a sproposito il termine eccezionale. La verità è che la campagna, alla quale gli urbanisti guardano perché sia progettata come elemento vivo nel tessuto urbanistico, non ce la fa più. Stradine in cemento, muretti in cemento, cemento e ancora cemento. Altro che materiali iperinnovativi e qualità dell’abitare.
La verità è che davvero non c’è più nulla di eccezionale.

È un un film già visto: la campagna progressivamente abbandonata, il terreno impermeabilizzato per colture troppo intensive e reso incapace di drenare l’acqua, le antiche incisioni chiamate lame, che una volta portavano fiumi e che vengono utilizzate come discarica, le nuove strade che si dipanano senza alcuna considerazione del territorio sul quale vanno a impattare e infine l’espansione di città ormai implose, nelle quali non si nasce più, la popolazione diminuisce, ma si continuano ad aumentare i volumi abitativi. Nulla di eccezionale. Dove volete che defluisca l’acqua di pioggia con tutti questi impedimenti posti dalla mano dell’uomo? È o non è anche per mirabilie della mente umana come i muretti a secco che la Puglia è nota in tutto il mondo? In una regione che si sta dando una forte connotazione turistica improntata anche sulla ruralità, vedere ai lati delle strade di campagna i muretti di cemento, certamente meno costosi e più semplici da realizzare, al posto di quelli dove le pietre vanno selezionate e assimilate con arte più che mestiere, è come una bestemmia.

Ma anche qui, nulla di eccezionale. Attraversando le strade della campagna di Puglia, ancora vive dei colori dell’autunno, il viandante non può fare a meno di notarlo. Ci si trova impantanato. Dove c’è cemento, le strade diventano scivoli sui quali l’acqua piovana scorre impetuosa. Dove ci sono le pietre, l’acqua trova sbocco nei terreni di campagna. Non è una vergogna, dunque, recuperare l’antica sapienza dei nostri progenitori, ahimé bistrattata.

I muretti a secco sono realizzati con una tecnica a basso impatto ambientale. Grazie alla loro forma catturano l’aria umida dei venti di libeccio e scirocco e la trasformano in acqua alimentando il suolo. I muretti a secco non costituiscono uno sbarramento, anzi si prestano a essere attraversati dall’acqua. Sono un’attrazione turistica. La Regione sovvenziona chi li conserva e li manutiene. Non è un a caso che i muretti a secco siano tutelati nel nuovo Piano paesaggistico territoriale regionale (Pptr). E forse, dopo mesi di feroci polemiche sul nuovo strumento di pianificazione, qualcuno si sta accorgendo in questi giorni di piogge eccezionali (?!) quale sia il motivo per cui è indispensabile (non eccezionale) ipotizzare di tutelarli. Esiste, per dirla con l’assessore regionale alla Qualità del territorio, Angela Barbanente, un vero e proprio paesaggio della pietra a secco, che va preservato. E non certo (o non solo) per motivi di carattere estetico. Un episodio, esemplare nella sua straordinarietà, valga per tutti quando si parla di antica sapienza che preserva i nostri territori dagli eventi «eccezionali».

Tra tante strade in fase di realizzazione o anche semplicemente progettate, ce n’era una, la strada 172 dei Trulli, che prevedeva appositi accorgimenti per preservare, e anzi, valorizzare i muretti a secco della Valle d’Itria. Sarà per questo, forse, perché una volta tanto era stata seguita la strada dell’antica sapienza dei nostri progenitori, che il governo nazionale, qualche giorno fa, ha deciso di non finaziarne più la realizzazione.
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