Bari, «Mater Dei» sarà quarto pronto soccorso
di Nicola Pepe
BARI - Era pronto soccorso nei «vecchi» accordi dei oltre sei anni fa e tale rimarrà. La «Mater Dei», in base alla delibera di giunta regionale che ha ridisegnato la rete ospedaliera privata in provincia di Bari come in tutta la Puglia, sarà il quarto pronto soccorso della città dopo Policlinico, Di Venere e ospedale San Paolo. La scheda allegata agli atti regionali e relativa al gruppo Cbh parla chiaro: oltre all’accorpamento dei posti letto di tutte le strutture del gruppo (scenderanno da 480 a 449), in una riga è scritto «pronto soccorso letti tecnici». Letta così sembrano esserci pochi dubbi che si tratti di un’accettazione di urgenza sotto tutti i punti di vista. Se tale scelta servirà a fare «respirare» gli attuali presidi ospedalieri cittadini presi d’assalto per prestazioni non di urgenza: basta prendere i dati dello scorso anno per verificare come delle oltre 180mila prestazioni erogate dai tre ospedali cittadini, più dell’80% sono considerati accessi se non proprio inutili, quanto meno non urgenti. Un problema, questo, che oltre a gravare sul sistema in termini economici ma anche di assistenza per i disagi che si creano, evidenzia una insufficiente rete territoriale che tra medici di base e distretti dovrebbe alleggerire tale carico.
Il pronto soccorso alla Mater Dei vede però due scuole di pensiero, da una parte l’imprenditore, dall’altra la Regione. Il primo lo intende come un pronto soccorso normale, in grado di accettare ogni tipo di urgenza (non potrebbe essere diverso in un ospedale attrezzato), mentre da parte regionale sembrerebbero propendere verso un punto di primo intervento. La differenza non è letterale, ma è sostanziale per due aspetti: l’impatto economico e quello occupazionale. Prendendo in considerazione questo dato, per garantire il funzionamento di un punto di primo intervento basterebbe un gruppo di medici e infermieri (non più di 15 persone), mentre nel caso di un pronto soccorso la macchina organizzativa necessaria includerebbe una serie di figure diverse. E qui veniamo al nodo che sta più a cuore a Cbh, ai sindacati e alla stessa Regione.
Il riferimento è alla procedura con cui Cbh ha avviato i licenziamenti per 338 persone di cui fanno parte non solo profili sanitari, ma anche amministrativi, autisti, guardie giurate e così via. Va da sè che nel caso di un pronto soccorso, sarebbe possibile se non proprio assorbire tale platea di personale, quanto meno ridurla sensibilmente risolvendo un problema sociale. Il nodo, però, sono anche i costi. Premesso che la delibera di giunta regionale ha stabilito che per la rete privata accreditata i budget resteranno invariati (anzi nel 2013 subiranno un’ulteriore decurtazione passando dai 111 milioni a 110 milioni), come è possibile prevedere un servizio come un pronto soccorso senza risorse aggiuntive? In tal senso va detto che le prestazioni di pronto soccorso potrebbero (o dovrebbero) essere pagate in base alla «funzione»: per spiegarci meglio, non in base alle prestazioni, ma secondo la struttura organizzativa necessaria mettendo a budget i costi del personale e dei materiali di consumo ecc. Tale scelta aiuterebbe la struttura a funzionare meglio sfruttando un contenitore polispecialistico (sia pure con i limiti di budget per i «drg» prodotti per i singoli ricoveri) che dispone di 10 sale operatorie, letti intensivi e quant’altro necessario per fronteggiare qualsiasi situazione.
Una situazione in evoluzione, dunque, che viaggerà di pari passo con il riordino della rete sanitaria pubblica rispettando così quel parametro di 3,7 posti letto per mille abitanti dettati dai criteri ministeriali. Ciò eviterà anche la cancellazione di alcune strutture per effetto del nuovo decreto Balduzzi (la cui ultima versione ha abbassato la solgia di soppressione delle strutture accreditate da 80 a 60 posti letto) salvaguardando così i profili occupazionali ma consentendo alla Regione di dettare nuove regole ai private. Niente più concentrazione nei grossi centri, ma - proprio nel rispetto di quell’equiparazione con il pubblico molto spesso evocata - concentrazione in quei piccoli centri con strutture polispecialistiche in grado di completare la rete assistenziale.
BARI - Era pronto soccorso nei «vecchi» accordi dei oltre sei anni fa e tale rimarrà. La «Mater Dei», in base alla delibera di giunta regionale che ha ridisegnato la rete ospedaliera privata in provincia di Bari come in tutta la Puglia, sarà il quarto pronto soccorso della città dopo Policlinico, Di Venere e ospedale San Paolo. La scheda allegata agli atti regionali e relativa al gruppo Cbh parla chiaro: oltre all’accorpamento dei posti letto di tutte le strutture del gruppo (scenderanno da 480 a 449), in una riga è scritto «pronto soccorso letti tecnici». Letta così sembrano esserci pochi dubbi che si tratti di un’accettazione di urgenza sotto tutti i punti di vista. Se tale scelta servirà a fare «respirare» gli attuali presidi ospedalieri cittadini presi d’assalto per prestazioni non di urgenza: basta prendere i dati dello scorso anno per verificare come delle oltre 180mila prestazioni erogate dai tre ospedali cittadini, più dell’80% sono considerati accessi se non proprio inutili, quanto meno non urgenti. Un problema, questo, che oltre a gravare sul sistema in termini economici ma anche di assistenza per i disagi che si creano, evidenzia una insufficiente rete territoriale che tra medici di base e distretti dovrebbe alleggerire tale carico.
Il pronto soccorso alla Mater Dei vede però due scuole di pensiero, da una parte l’imprenditore, dall’altra la Regione. Il primo lo intende come un pronto soccorso normale, in grado di accettare ogni tipo di urgenza (non potrebbe essere diverso in un ospedale attrezzato), mentre da parte regionale sembrerebbero propendere verso un punto di primo intervento. La differenza non è letterale, ma è sostanziale per due aspetti: l’impatto economico e quello occupazionale. Prendendo in considerazione questo dato, per garantire il funzionamento di un punto di primo intervento basterebbe un gruppo di medici e infermieri (non più di 15 persone), mentre nel caso di un pronto soccorso la macchina organizzativa necessaria includerebbe una serie di figure diverse. E qui veniamo al nodo che sta più a cuore a Cbh, ai sindacati e alla stessa Regione.
Il riferimento è alla procedura con cui Cbh ha avviato i licenziamenti per 338 persone di cui fanno parte non solo profili sanitari, ma anche amministrativi, autisti, guardie giurate e così via. Va da sè che nel caso di un pronto soccorso, sarebbe possibile se non proprio assorbire tale platea di personale, quanto meno ridurla sensibilmente risolvendo un problema sociale. Il nodo, però, sono anche i costi. Premesso che la delibera di giunta regionale ha stabilito che per la rete privata accreditata i budget resteranno invariati (anzi nel 2013 subiranno un’ulteriore decurtazione passando dai 111 milioni a 110 milioni), come è possibile prevedere un servizio come un pronto soccorso senza risorse aggiuntive? In tal senso va detto che le prestazioni di pronto soccorso potrebbero (o dovrebbero) essere pagate in base alla «funzione»: per spiegarci meglio, non in base alle prestazioni, ma secondo la struttura organizzativa necessaria mettendo a budget i costi del personale e dei materiali di consumo ecc. Tale scelta aiuterebbe la struttura a funzionare meglio sfruttando un contenitore polispecialistico (sia pure con i limiti di budget per i «drg» prodotti per i singoli ricoveri) che dispone di 10 sale operatorie, letti intensivi e quant’altro necessario per fronteggiare qualsiasi situazione.
Una situazione in evoluzione, dunque, che viaggerà di pari passo con il riordino della rete sanitaria pubblica rispettando così quel parametro di 3,7 posti letto per mille abitanti dettati dai criteri ministeriali. Ciò eviterà anche la cancellazione di alcune strutture per effetto del nuovo decreto Balduzzi (la cui ultima versione ha abbassato la solgia di soppressione delle strutture accreditate da 80 a 60 posti letto) salvaguardando così i profili occupazionali ma consentendo alla Regione di dettare nuove regole ai private. Niente più concentrazione nei grossi centri, ma - proprio nel rispetto di quell’equiparazione con il pubblico molto spesso evocata - concentrazione in quei piccoli centri con strutture polispecialistiche in grado di completare la rete assistenziale.