Medico, militare e donna da Canosa al Libano: «Per la pace pensando a mio figlio a casa»

di CARLO STRAGAPEDE
Ha 37 anni, è sposata e mamma di un bambino, ha sorriso dolce, occhi verdissimi e capelli corvini. Dentro, una volontà d’acciaio. Il capitano medico dell’esercito italiano Diletta Luisi, da Canosa di Puglia, da fine maggio è in missione in Libano. Aggregata alla brigata Ariete come quoziente italiano della Joint Task Force Lebanon, ha messo a frutto le sue specializzazioni in Ostetricia e ginecologia e in Protezione civile nell’assistere quella gente che si porta ancora addosso le «cicatrici» del conflitto con Israele. 

Laureata a Bari nel 1999 e diplomata in pianoforte al Conservatorio «Piccinni», vincitrice del prestigioso premio canosino «Dea Ebe» 2011, è moglie di un sottufficiale dell’esercito che nei prossimi mesi partirà per l’Afghanistan. Dalla loro unione è nato Michael, due anni e mezzo. 

Il fiore all’occhiello dei medici della 132esima brigata corazzata «Ariete» nel Paese mediorientale, e quindi anche del capitano Luisi, è stato il soccorso a una donna portata dal marito in fin di vita e priva di sensi nel punto di primo intervento di Shama, nel Sud del Paese. Era il 6 giugno. Le condizioni della donna sono subito apparse gravi, ma con professionalità e spirito di sacrificio i medici italiani sono intervenuti con successo: la paziente è stata stabilizzata e poi trasferita in una struttura ospedaliera. «Sono orgogliosa di fare parte della Task Force - afferma Diletta Luisi attraverso la posta elettronica -. La missione in Libano, mia prima esperienza all’estero, mi ha consentito di esprimermi dal punto di vista medico a 360 gradi, nella cura anche di patologie a noi rare come la leishmaniosi o il morso di scorpione o di vipera, oltre che dei traumi, molto frequenti specie nei bambini, intervenendo chirurgicamente. Dobbiamo anche svolgere attività di assistenza agli sminatori sui campi minati», racconta.

Il capitano Luisi continua: «Assistere donne e bambini è un’attività che che mi vede particolarmente partecipe sia per la mia specializzazione - spiega - sia per la cultura musulmana delle donne libanesi, che sono più propense a farsi visitare da altre donne, soprattutto se è necessario togliersi il velo o denudarsi». 
Domandiamo: è stato difficile distaccarsi da suo figlio? «Quando sono partita - racconta -, per tutto il viaggio mi sono portata nel cuore l’immagine dei suoi occhioni pieni di lacrime. Nei giorni successivi ho potuto, grazie alla tecnologia internet, accorciare le distanze con la mia famiglia. Ho constatato che Michael, dopo un primo impatto di evitamento e pianto alle videochiamate, ha cominciato a considerarmi sullo schermo come i personaggi dei suoi cartoni animati preferiti e poi a parlare e interagire. Ci divertiamo persino a giocare a nascondino». Tutta Canosa adesso aspetta il ritorno del suo ufficiale medico.
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