Un anno fa la tragedia delle due gemelline Schepp, perché morire qui?
di ANTONIO TUFARIELLO
Se chi è dall’altra parte della vita potesse dare uno sguardo verso il mondo che ha lasciato quaggiù quello di Matthias Shepp avrebbe forse un ghigno soddisfatto, sinistro, persino compiaciuto, al punto che se potesse guardarsi in uno specchio si farebbe paura. Un anno fa, il 3 febbraio Shepp, ingegnere svizzero di 43 anni, morì travolto da un Eurostar nella stazione di Cerignola Campagna. E da allora delle sue due bimbe, le gemelline Alessia e Livia, all’epoca di sei anni, non si sa più nulla. Ed era proprio ciò che voleva: lasciare in eredità un dolore senza fine e confini a sua moglie, Irina Lucidi, “colpevole” di essersi separata da lui dopo aver messo a fuoco tutti i lati peggiori del marito.
Un disegno scientifico, mefistofelico, con il finale scritto su sms, lettere di addio tra detto e non detto, buste piene di banconote e messaggi intrisi di morte inviate alla donna che aveva amato, quasi a rimescolare i pezzi di un puzzle, quando tutti avevano coltivato la speranza che i 7500 euro prelevati ai bancomat di Marsiglia potessero esser serviti per affidare a qualcuno le bimbe. E poi quel viaggio in nave da Marsiglia a Propriano, in Corsica, tre biglietti acquistati sul traghetto “Scandola” e verosimilmente un solo passeggero in cabina, il ritorno in Francia a Tolone e poi il lungo viaggio in auto fino a Cerignola, di cui di certo si sa poco o nulla, se non il passaggio al casello di Nizza Capitou (in auto era da solo) e la morte alle 22.47 del 3 febbraio 2011 sotto il treno Intercity “605” diretto a sud. Anche i giorni precedenti la sparizione delle bambine sono avvolti dal mistero.
Ed i pochi elementi conosciuti sembrano essere solo quelli che Shepp ha voluto che si sapessero: la consultazione di siti suicidi o sulle proprietà di veleni, le tre ore, la mattina del 30 gennaio, in cui ha affidato le bimbe ad un vicino, le due grosse valigie impermeabili che mancano dalla casa di St. Suplice, un paio di stivaletti pieni di fango lasciati nel garage, il transito nei pressi dell’aeroporto di Lione e poi telefonino spento e giù fino al mare del sud della Francia.
Le polizie di Svizzera, Francia ed Italia, sia pure con un diverso tasso di impegno, hanno cercato di mettere insieme i pezzi del diabolico mosaico costruito da Matthias Schepp. Ma tra colpevoli ritardi, deficit di raccordo investigativo e metodi di indagine approssimativi, non si è venuti a capo di nulla. A Cerignola si è puntato tutto sulla ricerca sui binari del microchip del navigatore satellitare di Schepp, risultato poi danneggiato ed inservibile e del registratore dal quale l’ingegnere della Philip Morris non si separava mai ed a cui si era sperato che avesse affidato l’ultima verità sulla sorte delle gemelline. Ma anche su testimonianze, a supporto di un percorso verso sud dato per certo, che non sembrano essere vangelo, come quella “strana” di Vietri sul mare, mentre impazzavano le veggenti poco veggenti e le centinaia di segnalazioni stile “Chi l’ha visto”.
Ma la grande sconfitta di questa tragica vicenda è la tecnologia delle indagini nell’era dell’informatica, della video - sorveglianza più invasiva, dei satelliti, dei tom - tom e dei telefonini che ci tracciano passo passo. Solo roba da fiction alla Csi e Ris. Ma non nel caso - Shepp, con un fantasma invisibile per un migliaio di chilometri ed un mistero di cui sappiamo solo quello che Shepp ha voluto farci sapere. Tuttavia non c’è delitto che sia perfetto. E forse, chissà quando e chissà come, basterà un piccolo particolare trascurato dalla sua lucida follia per svelare il disegno, quale che fosse. Ed allora, se chi è dall’altra parte della vita potrà dare uno sguardo verso il mondo che ha lasciato, in quel caso quel ghigno soddisfatto, sinistro e persino compiaciuto, si trasformerebbe nell’imma gine della sconfitta più totale, ancora peggiore di quella per pra provocata dal dolore muto e senza risposte di Irina e da quel corpo straziato e smembrato, assieme ai sogni di Matthias, da un treno in transito, a 150 chilometri orari, in una stazioncina buia di campagna, in una fredda notte di febbraio. E ancora ci si chiede: perché Schepp è venuto a morire a Cerignola?
Se chi è dall’altra parte della vita potesse dare uno sguardo verso il mondo che ha lasciato quaggiù quello di Matthias Shepp avrebbe forse un ghigno soddisfatto, sinistro, persino compiaciuto, al punto che se potesse guardarsi in uno specchio si farebbe paura. Un anno fa, il 3 febbraio Shepp, ingegnere svizzero di 43 anni, morì travolto da un Eurostar nella stazione di Cerignola Campagna. E da allora delle sue due bimbe, le gemelline Alessia e Livia, all’epoca di sei anni, non si sa più nulla. Ed era proprio ciò che voleva: lasciare in eredità un dolore senza fine e confini a sua moglie, Irina Lucidi, “colpevole” di essersi separata da lui dopo aver messo a fuoco tutti i lati peggiori del marito.
Un disegno scientifico, mefistofelico, con il finale scritto su sms, lettere di addio tra detto e non detto, buste piene di banconote e messaggi intrisi di morte inviate alla donna che aveva amato, quasi a rimescolare i pezzi di un puzzle, quando tutti avevano coltivato la speranza che i 7500 euro prelevati ai bancomat di Marsiglia potessero esser serviti per affidare a qualcuno le bimbe. E poi quel viaggio in nave da Marsiglia a Propriano, in Corsica, tre biglietti acquistati sul traghetto “Scandola” e verosimilmente un solo passeggero in cabina, il ritorno in Francia a Tolone e poi il lungo viaggio in auto fino a Cerignola, di cui di certo si sa poco o nulla, se non il passaggio al casello di Nizza Capitou (in auto era da solo) e la morte alle 22.47 del 3 febbraio 2011 sotto il treno Intercity “605” diretto a sud. Anche i giorni precedenti la sparizione delle bambine sono avvolti dal mistero.
Ed i pochi elementi conosciuti sembrano essere solo quelli che Shepp ha voluto che si sapessero: la consultazione di siti suicidi o sulle proprietà di veleni, le tre ore, la mattina del 30 gennaio, in cui ha affidato le bimbe ad un vicino, le due grosse valigie impermeabili che mancano dalla casa di St. Suplice, un paio di stivaletti pieni di fango lasciati nel garage, il transito nei pressi dell’aeroporto di Lione e poi telefonino spento e giù fino al mare del sud della Francia.
Le polizie di Svizzera, Francia ed Italia, sia pure con un diverso tasso di impegno, hanno cercato di mettere insieme i pezzi del diabolico mosaico costruito da Matthias Schepp. Ma tra colpevoli ritardi, deficit di raccordo investigativo e metodi di indagine approssimativi, non si è venuti a capo di nulla. A Cerignola si è puntato tutto sulla ricerca sui binari del microchip del navigatore satellitare di Schepp, risultato poi danneggiato ed inservibile e del registratore dal quale l’ingegnere della Philip Morris non si separava mai ed a cui si era sperato che avesse affidato l’ultima verità sulla sorte delle gemelline. Ma anche su testimonianze, a supporto di un percorso verso sud dato per certo, che non sembrano essere vangelo, come quella “strana” di Vietri sul mare, mentre impazzavano le veggenti poco veggenti e le centinaia di segnalazioni stile “Chi l’ha visto”.
Ma la grande sconfitta di questa tragica vicenda è la tecnologia delle indagini nell’era dell’informatica, della video - sorveglianza più invasiva, dei satelliti, dei tom - tom e dei telefonini che ci tracciano passo passo. Solo roba da fiction alla Csi e Ris. Ma non nel caso - Shepp, con un fantasma invisibile per un migliaio di chilometri ed un mistero di cui sappiamo solo quello che Shepp ha voluto farci sapere. Tuttavia non c’è delitto che sia perfetto. E forse, chissà quando e chissà come, basterà un piccolo particolare trascurato dalla sua lucida follia per svelare il disegno, quale che fosse. Ed allora, se chi è dall’altra parte della vita potrà dare uno sguardo verso il mondo che ha lasciato, in quel caso quel ghigno soddisfatto, sinistro e persino compiaciuto, si trasformerebbe nell’imma gine della sconfitta più totale, ancora peggiore di quella per pra provocata dal dolore muto e senza risposte di Irina e da quel corpo straziato e smembrato, assieme ai sogni di Matthias, da un treno in transito, a 150 chilometri orari, in una stazioncina buia di campagna, in una fredda notte di febbraio. E ancora ci si chiede: perché Schepp è venuto a morire a Cerignola?