Ospedale Perrino nel caos Personale in ferie forzate ma chi resta nei reparti?

di VALERIA CORDELLA ARCANGELI

Pensionamenti, mobilità e trasferimenti ed ora anche ferie “irrinunciabili” da smaltire: il personale nell’ospedale Perrino è ridotto a lumicino ma dovrà azzerare le ferie. «Come faremo funzionare i reparti? », chiede un primario dei piani alti del Perrino che dice, nei giorni scorsi, di aver ricevuto una lettera nella quale si invitano i direttori delle unità operative a favorire la fruizione delle ferie maturate da parte di medici e infermieri. Il documento non lascia scampo: se non si ottempera alla disposizione che proviene dai vertici della Asl, si rischia una valutazione negativa. 

Altro che aggiornamenti e crediti formativi, viene il sospetto che un direttore di unità operativa, per garantire gli standard minimi di assistenza e non incorrere nelle sanzioni di legge, debba frequentare un corso per prestigiatori. Se poi riuscisse anche a camminare sulle acque... Un altro fine settimana da dimenticare quello appena trascorso nel Pronto soccorso del Perrino. Disservizi e disagi esposti dai cittadini sono stati ampiamente riportati dalla Gazzetta: ma era solo la punta dell’iceberg. Nelle ore successive altre persone hanno telefonato e segnalato altri disservizi: assenza di lenzuola, coperte, sedie a rotelle e barelle. Non fa più notizia. Almeno non di questi tempi. La denuncia acquista però un particolare significato se ci si spinge alla ricerca dei motivi di quella carenza. Non è, infatti, la solita storia dei pazienti che dal pronto soccorso vengono trasferiti nei reparti dove capita che li si lasci in barella (con cuscino e biancheria, ovviamente) sino alla visita e all’assegnazione del posto letto (quando c’è); il motivo dell’assottigliarsi progressivo del corredo in dotazione al reparto è piuttosto il fatto che aumentano le persone che si rivolgono alla struttura. 

Anche qui niente di nuovo. Sappiamo tutti cosa accade negli ospedali del territorio ogni giorno dove oltre duecento persone chiedono (ormai invocano!) assistenza al pronto soccorso. E non ci sono raccomandazioni che tengano: ottenere via libera al ricovero è lo stesso che vincere al superenalotto. Fossero solo le barelle o le lenzuola il problema. Sappiamo tutti ma che cosa è possibile fare per frenare la discesa oltre l’inferno? E si, “oltre”, perché nell’inferno, se non vogliano raccontarci favole, già ci siamo. Come può restituire salute un ospedale nel quale già dal mattino non ci sono posti letto per accogliere i malati che arriveranno? Ieri mattina la situazione era questa: due posti letto in chirurgia donne e un paio nel reparto di pediatria. Stop. Non c’era altro. E chi ha bisogno di cure che necessitano del ricovero? Se la buona stella lo accompagna troverà ospitalità in qualche altro ospedale. Tanto peggio per lui se, come capita spesso, non vorrà saperne di essere trasferito (qualcuno dice “de positato”) altrove. Attenderà, con fiducia, il posto del primo dimesso. Per ore, su una barella. 

E’ evidente che in un contesto in cui si fanno i salti mortali per mantenere alti i livelli di assistenza nel pronto soccorso dove sei infermieri in meno pesano non poco (2 in pensione, 2 con contratti a tempo non rinnovati, 1 in maternità e un ultimo in malattia) se le coperte e barelle non sono sufficienti sono briciole. Parlare di collasso non è improprio. A luglio è stata persino chiusa l’astanteria per l’assenza di personale che, a causa delle ferie, non poteva garantire i turni. E’ già un miracolo che i medici (due sono andati via per motivi personali, ma ne sono arrivati quattro) siano in numero accettabile. Sufficienti a far fronte al gran carico di lavoro. Ma l’attesa in pronto soccorso e le liste di attesa per gli interventi chirurgici anche se programmati sono inevitab ili. Si andrà sempre peggio se è vero che si continueranno a tagliare posti letto e a non sostituire il personale in pensione. E se alla «medicina» sul territorio non sarà dato un forte impulso.
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