A Bari la mostra archeologica «L'ambra di Agamennone» oltre 360 i reperti esposti
di GIACOMO ANNIBALDIS
Cosa può raccontare un antico coccio di ceramica? Molto, se lo sai interrogare. Può narrare gli affanni di una vita quotidiana in un villaggio le cui tracce si sono perse; la più o meno rudimentale abilità dei suoi artigiani; le prove di uno scambio con popolazioni vicine. O anche lontane: magari di gente venuta dal mare a portare le proprie mercanzie e le innovazioni tecniche, barattandole con materie prime, minerarie o alimentari. A Roca, uno dei più importanti - e suggestivi - insediamenti archeologici di Puglia (presso Torre dell’Orso nel Salento), tra favolosi reperti sono anche emersi oltre cinquemila frammenti di ceramica «egea».
Sono essi la conferma di una presenza casuale di un popolo greco, i Micenei, che non usarono l’antica Roca come un semplice scalo mercantile, ma come stanziamento di stranieri che seppero convivere con il popolo indigeno. La vicenda dei Micenei è datata dal 1600 al 1100 avanti Cristo.
L’ologramma di questo popolo, evocato in maniera fantastica per la prima volta dalle scoperte a Micene, in Grecia, di Heinrich Schliemann nel 1877 (sempre lui, lo «scopritore» di Troia), si è concretizzato ieri a Bari nella mostra «Ambra per Agamennone. Indigeni e Micenei tra Adriatico, Ionio ed Egeo» inaugurata a Palazzo Simi, sede della Sovrintendenza archeologica. L’ambra era infatti una delle materie richieste dai mercanti micenei: e si sa che la via adriatica era quella percorsa da questo prezioso materiale importato dal Baltico.
La rassegna, curata da Francesca Radina e Giulia Recchia, intende appunto offrire un resoconto della presenza dei Micenei in Puglia, attraverso le scoperte archeologiche degli ultimi decenni sulle coste della nostra regione. Oltre 360 i reperti in mostra - molti dei quali mai visti -, provenienti dai musei pugliesi e dai magazzini della Sovrintendenza, e anche da collezioni nazionali (come il Museo delle Origini di Roma, i Musei archeologici della Basilicata) o internazionali (il Museo d’Arte cicladica di Atene).
Il logo della mostra è un sigillo miceneo in corniola raffigurante un felino che azzanna un cervo, reperto custodito nell’ormai comatoso Museo archeologico provinciale di Bari: la scelta - suggerisce Francesca Radina - «ha valore fortemente augurale per la rinascita di questa istituzione». D’altronde la mostra - che costituisce finalmente il ritorno dell’archeologia a Bari dopo un lungo letargo, interrotto da minimali sussulti per recuperi di refurtiva - è la naturale conseguenza di una ricerca sul territorio che dura da cinquant’anni: dall’epoca degli scavi di archeologi come F. G. Lo Porto e F. Biancofiore, studiosi attenti al periodo protostorico.
La scelta dei curatori della mostra è di non presentare una rassegna di siti; bensì - ci indica Francesca Radina - un racconto «a tema» sulla vita e sulla storia delle nostre antiche popolazioni venute in contatto con i Micenei. Questi naviganti achei - la cui espansione non era più dettata da un’esigenza di dominio sui mari (come lo era stato per i precedenti Minoici) e le cui rotte si allargavano ad Occidente in cerca di scali mercantili - trovarono insediati sulle coste pugliesi un popolo diversificato. A nord, sul Gargano, si incrociarono con una popolazione alquanto arcaica, come testimonia il sito di Coppa Nevigata (presso Mattinata), del quale la mostra ci offre un flash su una capanna distrutta da un incendio agli inizi del 1600 a. C.
Il contatto con i Micenei è suggerito da una tipica pratica «egea», quella di ricavare la porpora dalle murici: e un cumulo di conchiglie rotte sono state trovate in sito. Ma furono soprattutto approdi come Scoglio del Tonno presso Taranto e il già citato Roca in Salento a offrire i maggiori indizi della presenza dei Micenei.
Con una carrellata di sezioni, la rassegna presenta istantanee di vita, come il consumo del cibo, il lavoro e gli strumenti, l’alimentazione e le attività artigianali - con pettini per cardare la lana, rocchetti e fuseruole per la tessitura, punteruoli e spatole, nonché asce in bronzo, scalpelli, lisciatoi -. Da Roca arrivano anche stampi e matrici in pietra refrattaria per fondere il bronzo e ricavarne punte di freccia e di lancia, martelletti, coltelli e punteruoli. Non manca la pagina per l’ornamentazione personale e quella che testimonia i riti funebri.
La guerra dovette essere un dato ineludibile negli incontri- scontri tra indigeni e Micenei: e qui è presente con oggetti bellici di ambedue gli schieramenti: spade, daghe, pugnali. Come si è detto, indizio della presenza micenea in Puglia è la ceramica: una scelta di vasi e di frammenti è sufficiente a testimoniarlo. Oggetto di scambio furono grandi e piccole anfore decorate con caratteristiche spirali dipinte sui dorsi. Finché anche gli Apuli assimilarono dagli stranieri tecnica e gusti.
Con ori, avori, ambre e paste vitree si conclude preziosamente la mostra. Stupefacenti gli oggetti aurei di Roca; intriganti gli avori di Trinitapoli. Oggetti così rilevanti non possono non rimandare al ceto nobiliare che li indossò e li richiese. Evocando gli splendori dei prìncipi micenei, la cui memoria fu eternata dai poemi omerici, ben oltre i confini cronologici. Quell’Agamennone sovrano di Micene, anax, primo tra i primi basileis greci, la cui saga viene proposta a Bari da una sezione separata della mostra, esposta nel Museo civico con il titolo «Agamennone e gli altri», a cura di Angela Ciancio.
La storia materiale narrata in Palazzo Simi trova qui il suo correlato ideologico; o perlomeno quell’immaginario del popolo miceneo che seppe superare i millenni e divenire canone sociale, politico e religioso per la successiva civiltà greca. Nei grandi e piccoli vasi figurati provenienti da Taranto e Gravina (crateri apuli, idrìe lucane, cantari attici...) scorre un assaggio della narrazione mitica degli eroi «micenei»: Agamennone e i suoi figli Oreste e Ifigenia, suo fratello Menelao e la bella Elena, Ulisse e Diomede, Aiace e Patroclo...
Racconti leggendari, che hanno resistito ai secoli, come una luccicante traccia di un popolo, il miceneo, che intrecciò la propria storia con la nostra.
Cosa può raccontare un antico coccio di ceramica? Molto, se lo sai interrogare. Può narrare gli affanni di una vita quotidiana in un villaggio le cui tracce si sono perse; la più o meno rudimentale abilità dei suoi artigiani; le prove di uno scambio con popolazioni vicine. O anche lontane: magari di gente venuta dal mare a portare le proprie mercanzie e le innovazioni tecniche, barattandole con materie prime, minerarie o alimentari. A Roca, uno dei più importanti - e suggestivi - insediamenti archeologici di Puglia (presso Torre dell’Orso nel Salento), tra favolosi reperti sono anche emersi oltre cinquemila frammenti di ceramica «egea».
Sono essi la conferma di una presenza casuale di un popolo greco, i Micenei, che non usarono l’antica Roca come un semplice scalo mercantile, ma come stanziamento di stranieri che seppero convivere con il popolo indigeno. La vicenda dei Micenei è datata dal 1600 al 1100 avanti Cristo.
L’ologramma di questo popolo, evocato in maniera fantastica per la prima volta dalle scoperte a Micene, in Grecia, di Heinrich Schliemann nel 1877 (sempre lui, lo «scopritore» di Troia), si è concretizzato ieri a Bari nella mostra «Ambra per Agamennone. Indigeni e Micenei tra Adriatico, Ionio ed Egeo» inaugurata a Palazzo Simi, sede della Sovrintendenza archeologica. L’ambra era infatti una delle materie richieste dai mercanti micenei: e si sa che la via adriatica era quella percorsa da questo prezioso materiale importato dal Baltico.
La rassegna, curata da Francesca Radina e Giulia Recchia, intende appunto offrire un resoconto della presenza dei Micenei in Puglia, attraverso le scoperte archeologiche degli ultimi decenni sulle coste della nostra regione. Oltre 360 i reperti in mostra - molti dei quali mai visti -, provenienti dai musei pugliesi e dai magazzini della Sovrintendenza, e anche da collezioni nazionali (come il Museo delle Origini di Roma, i Musei archeologici della Basilicata) o internazionali (il Museo d’Arte cicladica di Atene).
Il logo della mostra è un sigillo miceneo in corniola raffigurante un felino che azzanna un cervo, reperto custodito nell’ormai comatoso Museo archeologico provinciale di Bari: la scelta - suggerisce Francesca Radina - «ha valore fortemente augurale per la rinascita di questa istituzione». D’altronde la mostra - che costituisce finalmente il ritorno dell’archeologia a Bari dopo un lungo letargo, interrotto da minimali sussulti per recuperi di refurtiva - è la naturale conseguenza di una ricerca sul territorio che dura da cinquant’anni: dall’epoca degli scavi di archeologi come F. G. Lo Porto e F. Biancofiore, studiosi attenti al periodo protostorico.
La scelta dei curatori della mostra è di non presentare una rassegna di siti; bensì - ci indica Francesca Radina - un racconto «a tema» sulla vita e sulla storia delle nostre antiche popolazioni venute in contatto con i Micenei. Questi naviganti achei - la cui espansione non era più dettata da un’esigenza di dominio sui mari (come lo era stato per i precedenti Minoici) e le cui rotte si allargavano ad Occidente in cerca di scali mercantili - trovarono insediati sulle coste pugliesi un popolo diversificato. A nord, sul Gargano, si incrociarono con una popolazione alquanto arcaica, come testimonia il sito di Coppa Nevigata (presso Mattinata), del quale la mostra ci offre un flash su una capanna distrutta da un incendio agli inizi del 1600 a. C.
Il contatto con i Micenei è suggerito da una tipica pratica «egea», quella di ricavare la porpora dalle murici: e un cumulo di conchiglie rotte sono state trovate in sito. Ma furono soprattutto approdi come Scoglio del Tonno presso Taranto e il già citato Roca in Salento a offrire i maggiori indizi della presenza dei Micenei.
Con una carrellata di sezioni, la rassegna presenta istantanee di vita, come il consumo del cibo, il lavoro e gli strumenti, l’alimentazione e le attività artigianali - con pettini per cardare la lana, rocchetti e fuseruole per la tessitura, punteruoli e spatole, nonché asce in bronzo, scalpelli, lisciatoi -. Da Roca arrivano anche stampi e matrici in pietra refrattaria per fondere il bronzo e ricavarne punte di freccia e di lancia, martelletti, coltelli e punteruoli. Non manca la pagina per l’ornamentazione personale e quella che testimonia i riti funebri.
La guerra dovette essere un dato ineludibile negli incontri- scontri tra indigeni e Micenei: e qui è presente con oggetti bellici di ambedue gli schieramenti: spade, daghe, pugnali. Come si è detto, indizio della presenza micenea in Puglia è la ceramica: una scelta di vasi e di frammenti è sufficiente a testimoniarlo. Oggetto di scambio furono grandi e piccole anfore decorate con caratteristiche spirali dipinte sui dorsi. Finché anche gli Apuli assimilarono dagli stranieri tecnica e gusti.
Con ori, avori, ambre e paste vitree si conclude preziosamente la mostra. Stupefacenti gli oggetti aurei di Roca; intriganti gli avori di Trinitapoli. Oggetti così rilevanti non possono non rimandare al ceto nobiliare che li indossò e li richiese. Evocando gli splendori dei prìncipi micenei, la cui memoria fu eternata dai poemi omerici, ben oltre i confini cronologici. Quell’Agamennone sovrano di Micene, anax, primo tra i primi basileis greci, la cui saga viene proposta a Bari da una sezione separata della mostra, esposta nel Museo civico con il titolo «Agamennone e gli altri», a cura di Angela Ciancio.
La storia materiale narrata in Palazzo Simi trova qui il suo correlato ideologico; o perlomeno quell’immaginario del popolo miceneo che seppe superare i millenni e divenire canone sociale, politico e religioso per la successiva civiltà greca. Nei grandi e piccoli vasi figurati provenienti da Taranto e Gravina (crateri apuli, idrìe lucane, cantari attici...) scorre un assaggio della narrazione mitica degli eroi «micenei»: Agamennone e i suoi figli Oreste e Ifigenia, suo fratello Menelao e la bella Elena, Ulisse e Diomede, Aiace e Patroclo...
Racconti leggendari, che hanno resistito ai secoli, come una luccicante traccia di un popolo, il miceneo, che intrecciò la propria storia con la nostra.