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«In Puglia 3500 anni fa vivevano i figli di Zeus»: estratto il Dna dei corpi insepolti a Roca Vecchia, erano minoici
Quella che per i turisti è Grotta della Poesia, per gli scienziati è la foto tridimensionale di un assedio che risale all’Età del Bronzo. Per la prima volta sono stati studiati i corpi di quelle vittime di guerra
Roca Vecchia, che per i turisti è l’incantevole piscina naturale di Grotta della Poesia, lungo la SP366 tra Lecce a Otranto, per gli scienziati è la “foto” tridimensionale di un assedio che risale all’Età del Bronzo e che, tra gli altri reperti, ha restituito quello che è considerato il più cospicuo campione di vittime di guerra insepolte. Ora, per la prima volta, è stato estratto e studiato il Dna di quei corpi e gli scienziati ritengono di aver scoperto che, 3.500 anni fa, mescolati ai pugliesi indigeni c’erano i “figli di Zeus”, i minoici. Questa popolazione, che abitava l’attuale Creta, deve il suo nome al re Minosse, mitologico figlio di Zeus e di Europa che in vita avrebbe creato il Labirinto di Dedalo e legato la sua leggenda alla figura del Minotauro e che, quando morì, divenne il giudice dei morti nell’Ade.
Roca fu messa a ferro e fuoco tra la fine del XV secolo a.C. e l’inizio del XIV. Di quella mattanza oggi abbiamo i resti di 7 abitanti del luogo, che si nascosero nelle mura della fortezza, e di altri 2 (che ancora non si sa se fossero tra quanti attaccarono quel lembo di Puglia o fra chi lo difese) che furono rinvenuti sotto le rovine della porta principale.
Spiega il prof. Francesco Montinaro, associato del dipartimento di Bioscienze, Biotecnologie e Ambiente dell’Università di Bari: «Abbiamo studiato i 7 corpi ritrovati successivamente al crollo della postierla C, un vano che si trova ai lati delle porte, nelle fortificazioni. Si tratta di persone che rimasero intrappolate lì dal crollo seguito all’attacco, per altro condotto da una popolazione ancora non ben definita».
Questa delicata ricerca genetica è stata possibile grazie alla collaborazione fra le Università di Torino, Pavia, Bari, Tartu (Estonia), Uppsala (Svezia), Padova e UniSalento. Gli esiti sono ora raccolti in uno studio intitolato «Antichi genomi provenienti dall’assedio e dalla distruzione di Roca Vecchia (Puglia, Italia) della Media Età del Bronzo fanno luce sui contatti e sui conflitti con l’Egeo». È sottoposto all’attenzione e validazione della comunità scientifica internazionale su Biorxiv.org e firmato da Serena Aneli, Valeria Nicolini, Giorgia Vincenti, Stefania Sasso, Tina Saupe, Helja Kabral, Anu Solnik, Kristiina Tambets, Riccardo Guglielmino, Pier Francesco Fabbri, Luca Pagani, oltre che dal citato Montinaro.
«Noi - continua il biologo pugliese - ne analizziamo per la prima volta il Dna e questa è la novità. A causa del calore generato nell’assedio, però, siamo riusciti a estrarne solo da due individui, una bambina che viene stimata di circa 8-10 anni di età e un uomo di 16-17 anni. Età che viene stimata grazie alle analisi osteologiche. Questo è il primo studio del Dna di campioni provenienti da Roca e uno dei primi, se non il primo dell’Età del Bronzo in Puglia». «La novità a mio avviso più sorprendente anche per noi - aggiunge lo studioso salentino - è che entrambi questi individui mostrano un chiaro ed evidente segnale di ascendenza genetica da est, probabilmente dal mondo Egeo. Questa componente si innesta su un substrato locale, cioè sono arrivati e si sono accoppiati con indigeni pugliesi. E questa componente da est è, ad ora, la più antica trovata nell’Italia peninsulare».
Il professore spiega che i reperti sono stati spediti in Estonia per l’estrazione e il sequenziamento del Dna antico in una «clean room», una stanza in cui nulla può entrare a contaminare il reperto, e che i «pezzettini minuscoli di ossa, sono già ritornati alla base», in Puglia.