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Potenza
07 Ottobre 2017
di Giovanni Rivelli
POTENZA - La condanna resta e la pena non scenda dai 10 anni. Nonostante i 4 giorni di prognosi per la vittima, quello messo in atto nei confronti di Mario Salerno il 9 gennaio del 2003, anche ad avviso della Corte d’Appello di Potenza, fu un tentato omicidio e i responsabili dell’azione furono Antonio Sellitri, ritenuto l’esecutore materiale di un investimento fatto con l’auto, e Teresa D’Alessandro, ex moglie di Salerno, che avrebbe concorso moralmente nell’azione con l’esecutore materiale con cui intratteneva una relazione, cosa che portò i due imputati ad essere definiti «amanti diabolici».
Il fatto avvenne a Potenza, in viale dell’Edilizia, il 9 gennaio del 2003 e il lungo tempo trascorso per giungere alla sentenza (il primo grado fu definito nel 2014) fu oggetto di una protesta della parte lesa.
Secondo l’accusa formulata all’epoca dal sostituto procuratore, Lucio Setola «Sellitri, quale autore materiale, D’Alessandro quale concorrente morale, ponevamo in essere atti idonei in maniera non equivoca a cagionare la morte di Salerno (marito della D’Alessandro). Ed, infatti, il Sellitri, postosi alla guida di un’auto Golf di colore scuro si avvicinava a forte velocità ed a fari spenti alle spalle di Salerno che si stava avvicinando a piedi alla propria autovettura, investendolo e scaraventandolo in terra». Per questi fatti, nel 2014, il Pm Gerardo Salvia aveva chiesto al Tribunale una condanna a nove anni di reclusione, ma il collegio presieduto da Aldo Gubitosi ritenne di andare oltre la richiesta salendo a 10 anni.
Una pronuncia che ieri è stata confermata dalla corte d’Appello presieduta da Pasquale Materi e composta da Rocco Pavese e Angela D’Amelio che non ha accolto la lettura dei fatti alternativa proposta dalle difese. Ieri era toccato all’avvocato di Sellitri, l’avv. Pietro Mazzoccoli, concludere le discussioni e il legale aveva insistito molto tanto sulla materialità del fatto, appunto la circostanza che un tentato omicidio a mezzo investimento ad alta velocità avesse prodotto una guarigione in appena quattro giorni, tanto sull’assenza di movente e, ancora, contestando la ricostruzione fatta dalla vittima che nell'immediatezza dei fatti avrebbe parlato di una vettura di marca diversa (una Suzuki) dicendo di non aver visto nessuno, e poi avrebbe col tempo rettificato le sua dichiarazioni arrivando a dirsi sicuro che l’auto era la Golf e alla guida vi era Sellitri.
I giudici hanno invece accolto la richiesta di conferma venuta da procura generale e parte civile per la conferma per le motivazioni che saranno rese note in 90 giorni. Un termine che le difese ora attendono per valutare l’eventuale, e già giudicato probabile, ricorso in Cassazione in assenza del quale la pena diverrebbe definitiva e si aprirebbero le porte del carcere.
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