L'odio che si respira nei nostri quartieri

di CARMELA FORMICOLA

È una guerra che parte da lontano, dal tempo in cui nelle calette amare di San Girolamo veniva gettato impunemente cemento illegale per facilitare l’attracco delle barche cariche di sigarette di contrabbando. Per il tabacco si uccideva esattamente come per la droga e i clan si sterminavano senza scrupoli. In Sardegna la chiamano disamistade (che è anche il titolo di una canzone di Fabrizio De Andrè, «...la corsa del tempo spariglia destini e fortune...»), vuol dire inimicizia ma è anche sinonimo di faida , traduce l’odio tra famiglie. Un odio che si perpetua e si rinnova ad ogni lutto, anche quando, passato il tempo, nessuno ricorda bene cos’abbia realmente originato quell’inimicizia. Ci si odia, ci si stermina. E basta.
Qualcosa di così profondamente arcaico ed oscuro continua a scorrere nelle vene delle «famiglie» baresi, una contrapposizione, una «guerra», fatta di controllo del territorio ma anche di memoria, la memoria di quel che si è subito, dei conti da regolare e di qualcuno che è sempre «sotto di uno» fin quando non ammazza l’altro.

Così si sono sterminati i Lorusso, vicini ai Capriati, e i Campanale, vicini agli Strisciuglio, e la loro «guerra» si è consumata tra Barivecchia, il Libertà, San Girolamo. Anche questa è Bari. E non dobbiamo dimenticarlo, perchè questa Bari irrompe senza avvisare nelle nostre vite e con il sangue che sparge ci destabilizza, ci proietta in una dimensione di paura che nessun popolo civile merita. Cosa fare? Mettere un poliziotto o un carabiniere ad ogni angolo di strada? Impossibile. Nè servono le strumentalizzazioni o la propaganda: le accuse incrociate tra i politici sono l’ultima cosa che serve in questi casi. Alleiamoci, piuttosto. E soprattutto non neghiamo il problema: questa criminalità ci vive accanto. E nessuno, da solo, può farci nulla.
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