ROMA - «Esposizione totale» ai rischi connessi all'utilizzo di armamenti con uranio impoverito, maschere antigas che «erano scadute», protezioni individuali «scarsissime», condizioni igieniche «precarie». E' il racconto che Carmine, il militare che dopo la missione in Bosnia nel '96 si è ammalato per una presunta contaminazione da uranio, ha fatto all'agenzia on line «Peacereporter». Nel suo racconto, il militare di Potenza afferma che la malattia è comparsa «un mese prima di congedarmi. Sono rientrato a casa - spiega - e hanno cominciato a venirmi i primi sintomi, che poi sono sfociati in disfunzioni epatiche che hanno reso necessari due ricoveri in dieci giorni». Ciò che «mi fa rabbia - prosegue - è che io ho dato la mia gioventù allo Stato e in cambio ho ricevuto indifferenza. Sono invalido al 75%, ma attendo il riconoscimento della causa di servizio».
Della missione in Bosnia, Carmine racconta diversi particolari. «A Sarajevo hanno sparato un po' di tutto e noi eravamo lungo la linea del fronte, a stretto contatto con i bossoli esplosi e i residuati bellici. Le condizioni igieniche erano assai precarie: per lavarci e ripulirci solo una doccia veloce. Toccavamo tutto con le mani nude. Le maschere antigas erano scadute, perciò era inutile metterle».
«Guardavo gli americani - conclude il militare - e invidiavo il loro equipaggiamento».
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