Per il boss pugliese Lorusso il «trasferimento» a Opera per farlo studiare da ragioniere
di MIMMO MAZZA
Il trasferimento nel carcere di Opera, a Milano, doveva essere un premio, un miglioramento della qualità della vita per Alberto Lorusso, il 55enne boss di Grottaglie balzato agli onori della cronaca per le sue chiacchierate - intercettate dalla Dia - con il capo dei capi Totò Riina. Arrestato il 20 aprile del 1994 nell’operazione antimafia denominata «Ellesponto» che sgominò la mafia tarantina, ponendo fine ad una sanguinaria guerra di mala, Alberto Lorusso si appresta a «festeggiare» i venti anni di reclusione. Nei suoi confronti, i magistrati non hanno mai avuto riguardi, viste le condanne rimediate (23 anni per omicidio, 10 per associazione mafiosa, 16 per spaccio di droga e altre ancora per tentato omicidio ed estorsione) e l’innata tendenza a comandare anche dal carcere.
Sin dal 1996, quando in un colloquio con il fratello intercettato dalla polizia, si paragonava a vari capi della Sacra Corona Unita, a partire da Pino Rogoli, Lorusso usa un linguaggio particolare, fatto di frasi allusive, forse messaggi in codice. Materiale, insomma, sufficiente per chiedere e ottenere nei suoi confronti il carcere duro, il 41 bis. Rinnovato di anno in anno, malgrado l’opposizione dei suoi legali Gaetano Vitale e Vincenzo D’Elia, mischiando il vecchio (l’appartenza al clan che a Taranto si contrapponeva ai fratelli Modeo) e il nuovo (lettere e parole ambigue). Tanto da portare il direttore del carcere di Cuneo, dov’era rinchiuso prima del trasferimento dell’estate scorsa a Opera e dov’è tornato da quasi due mesi, a negargli la possibilità di ricevere dai suoi familiari i libri necessari per proseguire gli studi da ragioniere.
Lorusso ha protestato, anche vivacemente, per il diritto allo studio negato ma il timore che in quei libri potessero esserci messaggi nascosti, ha avuto la meglio. Sono partiti esposti, segnalazioni, fino al trasferimento ad Opera, carcere di massima sicurezza al pari di Cuneo ma meno «duro» di quello piemontese, e all’incontro - chissà quanto casuale - con Totò Riina.
Il boss di Grottaglie è stato intercettato mentre parlava col capo di Cosa Nostra di politica, di attentati, di strategie mafiose. Senza timori reverenziali e anzi mostrandosi spesso informato. Ai pubblici ministeri di Palermo che lo hanno interrogato, Lorusso ha spiegato di aver solo assecondato Riina e di non essere a conoscenza di segreti della cupola. Difficile, come temono ora i suoi legali, che basteranno le sue giustificazioni per evitare l’ulteriore rinnovo del regime di carcere duro pur se allo stato non risultano a suo carico ulteriori procedimenti penali.
Il trasferimento nel carcere di Opera, a Milano, doveva essere un premio, un miglioramento della qualità della vita per Alberto Lorusso, il 55enne boss di Grottaglie balzato agli onori della cronaca per le sue chiacchierate - intercettate dalla Dia - con il capo dei capi Totò Riina. Arrestato il 20 aprile del 1994 nell’operazione antimafia denominata «Ellesponto» che sgominò la mafia tarantina, ponendo fine ad una sanguinaria guerra di mala, Alberto Lorusso si appresta a «festeggiare» i venti anni di reclusione. Nei suoi confronti, i magistrati non hanno mai avuto riguardi, viste le condanne rimediate (23 anni per omicidio, 10 per associazione mafiosa, 16 per spaccio di droga e altre ancora per tentato omicidio ed estorsione) e l’innata tendenza a comandare anche dal carcere.
Sin dal 1996, quando in un colloquio con il fratello intercettato dalla polizia, si paragonava a vari capi della Sacra Corona Unita, a partire da Pino Rogoli, Lorusso usa un linguaggio particolare, fatto di frasi allusive, forse messaggi in codice. Materiale, insomma, sufficiente per chiedere e ottenere nei suoi confronti il carcere duro, il 41 bis. Rinnovato di anno in anno, malgrado l’opposizione dei suoi legali Gaetano Vitale e Vincenzo D’Elia, mischiando il vecchio (l’appartenza al clan che a Taranto si contrapponeva ai fratelli Modeo) e il nuovo (lettere e parole ambigue). Tanto da portare il direttore del carcere di Cuneo, dov’era rinchiuso prima del trasferimento dell’estate scorsa a Opera e dov’è tornato da quasi due mesi, a negargli la possibilità di ricevere dai suoi familiari i libri necessari per proseguire gli studi da ragioniere.
Lorusso ha protestato, anche vivacemente, per il diritto allo studio negato ma il timore che in quei libri potessero esserci messaggi nascosti, ha avuto la meglio. Sono partiti esposti, segnalazioni, fino al trasferimento ad Opera, carcere di massima sicurezza al pari di Cuneo ma meno «duro» di quello piemontese, e all’incontro - chissà quanto casuale - con Totò Riina.
Il boss di Grottaglie è stato intercettato mentre parlava col capo di Cosa Nostra di politica, di attentati, di strategie mafiose. Senza timori reverenziali e anzi mostrandosi spesso informato. Ai pubblici ministeri di Palermo che lo hanno interrogato, Lorusso ha spiegato di aver solo assecondato Riina e di non essere a conoscenza di segreti della cupola. Difficile, come temono ora i suoi legali, che basteranno le sue giustificazioni per evitare l’ulteriore rinnovo del regime di carcere duro pur se allo stato non risultano a suo carico ulteriori procedimenti penali.