CORLEONE (Palermo) - Corleone si è svegliata sotto assedio con decine di auto della Polizia di Stato e dei Carabinieri, entrambi presenti con corpi specializzati dell'anticrimine e del Ris, e almeno duecento investigatori giunti nella cittadina per arrestare i due favoreggiatori di Bernardo Provenzano ed eseguire diverse perquisizioni che rientrano nell'ambito delle inchieste per svelare la ragnatela di protezioni e connivenze che ha consentito al boss di rimanere libero per oltre trent'anni.
Liborio Spatafora, 57 anni, è un imprenditore agricolo molto conosciuto nel Corleonese che gestisce, con la famiglia, un oleificio e una cantina in contrada ponte Aranci. Nonostante non abbia problemi economici, Spatafora venne arrestato l'anno scorso in Germania: nel cofano dell'auto aveva una valigetta con diverse migliaia di euro falsi e rimase in prigione per circa 3 mesi, prima di venire rilasciato dietro pagamento di cauzione. È in attesa dello svolgimento del processo.
Francesco Grizzaffi, 53 anni, è fratello di Giovanni e Mario, entrambi arrestati per mafia e già condannati per favoreggiamento, ed è nipote del boss Salvatore Riina, essendo figlio di una sorella del capomafia.
Grizzaffi ufficialmente fa l'agricoltore ed era stato arrestato a metà degli Anni Novanta per mafia. Attualmente era in regime di sorveglianza speciale.
I Grizzaffi hanno avuto, secondo numerosi collaboratori di giustizia, un ruolo nella «ripulitura» della villa di via Bernini in cui visse per molti anni Totò Riina assieme alla sua famiglia fino al giorno dell'arresto il 15 gennaio 1993.
Secondo gli inquirenti, la villa sarebbe stata ripulita immediatamente dopo la cattura del boss da una squadra di «professionisti» mafiosi o legati da vincoli di parentela con Riina, che portarono via tutto ciò che poteva essere utile alle indagini.
Quando i Carabinieri, dopo 16 giorni, decisero di perquisire la villa la trovarono vuota. L'abitazione-covo era già stata "visitata": i mobili coperti di cellophan, le pareti tinteggiate di fresco. L'unico pezzetto di carta sfuggito alla squadra di «professionisti» era una letterina della figlia del boss, Maria Concetta Riina ad una sua amichetta.
La mancata immediata perquisizone del covo ha portato al processo a due ufficiali dei Carabinieri impegnati nella cattura di Totò Riina che sono stati assolti.
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