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PALERMO - «Bernardo Provenzano è a Palermo, in Sicilia, nel suo mandamento, forse nelle campagne di Corleone...». Parole profetiche, quelle pronunciate poco tempo fa dal Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, che aveva ribadito la sua convinzione di potere finalmente catturare il superlatitante. E proprio nelle campagne del Corleonese, in un vecchio casolare con un ovile accanto, si nascondeva infatti l'anziano boss.
Grasso da anni studiava le mosse del capo di Cosa Nostra nella speranza di fargli scacco matto. Una partita, quella tra lo Stato e il boss latitante, che durava ormai da oltre quarant'anni: «Provenzano - ripeteva il procuratore - è nel suo territorio perchè un re non può governare se non si trova lì. Ma è molto difficile entrare in quelle zone: molti contadini potrebbero dire che è passato da appena dieci minuti, ma non lo fanno. E se si prova a mandare un infiltrato, viene subito riconosciuto e seguito». Il «re» corleonese, insomma, sapeva di potere contare sulla protezione dalla «sua» gente, pronta a dare l'allarme al minimo sospetto. Gli apparati investigativi avevano provato ad aggirare le sue difese utilizzando come esche persino i vigili del fuoco, le squadre dell'Enel e dei telefoni, ma regolarmente erano state «intercettate e pedinate». La «volpe» di Corleone, secondo gli inquirenti, poteva essersi rintanata proprio in un casolare di campagna. Come a Mezzojuso, quando il 30 gennaio la polizia riuscì a catturare il suo braccio destro Benedetto Spera, mentre lui riuscì a dileguarsi non appena fiutata l' aria. 'Binnù è scaltro e non ha mai ceduto al fascino dei nuovi mezzi di comunicazione, neppure il telefono.
«Per comunicare - ricordava Grasso - usa solo uomini, carta e penna. Di lui, come traccia, abbiamo unicamente i famosi bigliettini, come quelli che aveva quando è stato arrestato Benedetto Spera». Gli stessi famigerati pizzini trovati oggi nelle tasche del boss.
Per gli investigatori che da decenni gli danno la caccia Provenzano sembrava essere un fantasma senza volto. «L' ultima foto - ricordava Grasso - risale a quando era giovanissimo. Abbiamo un identikit ricostruito al computer. Ma basta cambiare taglio di capelli o modificare qualcosa nella fisionomia per confondere ancora le indagini».
Senza contare i depistaggi. Quando la famiglia è ricomparsa a Corleone, in molti hanno cominciato a diffondere la voce che Provenzano era morto perchè un vero mafioso non lascia moglie e figli. O ancora le recentissime dichiarazioni del suo legale, l'avvocato Salvatore Traina, che qualche giorno fa diceva di essere certo della morte del boss. Affermazioni smentite seccamente da Grasso: «Abbiamo notizia che ci sono alcune persone che tentano di dialogare con lui. Questa è la prova che è vivo e vegeto».
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