Fu l'affare dei funerali a scatenare la guerra tra clan

«Ogni mese a Foggia muoiono circa 120 persone e i funerali costano mediamente dai 2500 ai 3mila euro, con un fatturato mensile di oltre 300mila euro e annuale di 3 milioni e mezzo. Il “cartello mafioso” composto da alcune imprese di pompe funebri voleva accaparrarsi il grosso di questo mercato: la prima regola era puntare al monopolio dei funerali dei pazienti deceduti in ospedale; la seconda creare un centro servizi che fornisse a tutte le agenzie di onoranze funebri, anche se molte rifiutarono, uomini e mezzi per i funerali; la terza imporre alle agenzie estranee all’accordo un pizzo di 500 euro per ogni funerale». Bisogna partire da queste parole, da quanto disse in aula a Foggia l’11 novembre del 2008 l’ex dirigente della squadra mobile, l’attuale primo dirigente della Questura Antonio Caricato, primo testimone dell’accusa nel processo «Osiride» a 20 imputati, per capire la portata dell’affare funerali, che fosse mafia come riteneva la Dda o «semplice» associazione per delinquere come ha ora sancito la Corte di Cassazione.

L’affare racket del caro estinto fu anche la causa della quinta guerra tra clan scoppiata all’interno della «Società», ossia la mafia foggiana, nel 2007/2008 tra i clan Moretti-Pellegrino da una parte e la batteria Sinesi dall’altra, contrassegnata da un paio di omicidi e quattro agguati falliti con sparatorie tra la folla, tant’è che anche due passanti rimasero feriti di striscio dai proiettili vaganti. Nei primi mesi del 2006 - dicono le indagini di squadra mobile e Direzione distrettuale antimafia sfociate in una serie di blitz, tra cui «Osiride» - tornarono in libertà dopo lunghe carcerazioni due esponenti di spicco della mafia foggiana, entrambi dipendenti e/o soci di agenzie di pompe funebri: Roberto Sinesi al vertice dell’omonima batteria; e Raffaele Tolonese, detto «rafanill», vicino al clan Trisciuoglio-Prencipe e che col passare dei mesi ha assunto un ruolo sempre più importante nelle dinamiche mafiose cittadine.

Stando alla ricostruzione di poliziotti e Dda, Sinesi e Trisciuoglio superarono le vecchie rivalità, che avevano portato alla terza guerra tra clan con 14 omicidi e 4 agguati falliti tra il luglio 2002 e l’ottobre 2003, e si allearono per gestire insieme il ricco business dei funerali. Da questo accordo venne però esclusa la terza batteria della «Società», ossia il clan Moretti-Pellegrino retto dal carcere dal boss Rocco Moretti , detenuto ininterrottamente dal luglio ‘89 per scontare 30 anni di carcere per omicidio, mafia, droga ed armi; e dall’esterno dal suo fedelissimo Vincenzo Antonio Pellegrino , soprannominato «Capantica». Proprio Pellegrino, scarcerato a fine 2006 dopo due anni in cella in seguito all’assoluzione in un processo per mafia, una volta fuori, «si presentò sulla scena e rivendicò per sè e il suo gruppo un ruolo negli accordi legati alla spartizione dei proventi illeciti» per dirla con la requisitoria del pm della Dda Giuseppe Gatti in un processo collegato proprio alla guerra tra clan.

«A questo punto il clan Sinesi fermamente orientato a non scendere a patti con la batteria Moretti-Pellegrino, decise di giocare in anticipo» la ricostruzione della Dda «dichiarando guerra alla fazione opposta». L’avvio della guerra porta la data del 5 maggio 2007 quando in via San Severo proprio Pellegrino sfuggì alla morte perchè la pistola del killer s’inceppò; come sfuggì alla morte il 16 luglio successivo sempre al rione Candelaro Pasquale Moretti, figlio di Rocco ed erede designato alla guida del clan, gambizzato mentre era in auto da due centauri che volevano farlo fuori. Seguirono progetti di omicidi, agguati falliti, blitz ed arresti ed ancora sparatorie tra la gente. Tutto per il racket dei funerali.

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