FIUMICINO (ROMA) - «A Tripoli è tutto tranquillo ma si avverte un po' di tensione. Per i libici la nostra reputazione rimane positiva, ma in questi giorni dopo il comportamento dell'ex ministro Calderoli, mi sono vergognato di essere italiano». E' la testimonianza di Marco Bonacchi, di Pistoia, uno degli italiani rientrati nel pomeriggio con un volo di linea Alitalia da Tripoli, in tutto un piccolo gruppo, per lo più persone che lavorano da tempo in Libia.
All'aeroporto di Fiumicino, Bonacchi, impiegato in un'azienda e che di frequente si avvicenda tra Italia e Libia, ha detto «di aver saputo di quanto stava accadendo a Bengasi solo da internet. In molti, tra chi ho visto in questi giorni, ci siamo sdegnati per quanto fatto da Calderoli; non si può scherzare su certe cose, per di più se si è un ministro, è mancanza di responsabilità, in un momento particolare come questo, vista il discorso religioso che alla base di quanto accade a Bengasi. Rispetto al resto della Libia, lì c'è comunque un situazione diversa: a livello politico, è un posto dimenticato da Dio e quanto accaduto, dopo la scintilla che ha acceso tutto, potrebbe essere legato ad una contestazione verso la leadership libica».
«In questi giorni ci hanno consigliato precauzionalmente di non uscire - riferisce invece Dante, un lavoratore molisano dell'Iveco - ma la situazione è assolutamente senza problemi a Tripoli. A Bengasi avevamo un collega che è stato fatto tornare a Tripoli, ma per il momento non rientrerà in Italia; si spera possa tornare al posto di lavoro appena la situazione si sarà ristabilita. Ho la sensazione però - conclude - che a Bengasi non aspettassero altro che un pretesto per scatenare, per motivi interni alla Libia, quanto successo». Poi un libico si avvicina e, con ampi gesti, un po' in italiano e un po' in inglese, cerca di portare un segnale di distensione: «Italia e Libia no problem, siamo una famiglia».
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