ROMA - Con il voto di domani del Senato la riforma della Costituzione è al giro di boa. Due dei quattro passaggi parlamentari saranno archiviati: negli ultimi due la Camera e il Senato saranno chiamati a pronunciarsi di nuovo sul disegno di legge ma solo con un sì o un no complessivo. Il testo non potrà più essere modificato, ma solo confermato o respinto in blocco. Niente emendamenti da esaminare e possibilità di ostruzionismo, ma un veloce passaggio in commissione e in aula. Ma con quali tempi? Tutto lascia prevedere che la maggioranza, dopo aver premuto sull'acceleratore per approvare la riforma prima delle elezioni regionali e scongiurare la crisi con la Lega Nord, dia ora un colpo di freno. Un'approvazione troppo veloce del disegno di legge darebbe infatti un vantaggio al centrosinistra, che ha già detto di voler chiedere il referendum sulla riforma. Il centrodestra, infatti, non vuole che la consultazione referendaria si tenga prima delle politiche del 2006: una bocciatura della riforma nelle urne sarebbe un pessimo viatico per la campagna elettorale.
Il premier Berlusconi e il ministro leghista Calderoli hanno già detto che il referendum si dovrà svolgere dopo le politiche. Per questo serve che il sì definitivo del Parlamento arrivi con calma, verso la fine della legislatura.
L'articolo 138 della Costituzione dice che tra le due deliberazioni di ogni Camera sui disegni di legge costituzionali devono passare tre mesi. La Camera, in teoria, potrebbe dare il suo sì già nei prossimi giorni, perchè i tre mesi dalla sua precedente approvazione sono già passati. Il sì definitivo del Senato, invece, potrebbe arrivare tra tre mesi a partire da domani, quindi per la fine di giugno. A quel punto l'opposizione avrebbe altri tre mesi di tempo per raccogliere le firme del referendum, con la possibilità di chiamare i cittadini a pronunciarsi qualche settimana prima delle elezioni di aprile 2006.
Il centrodestra vuole scongiurare questa eventualità anche perchè il referendum costituzionale, diversamente da quelli sulle leggi ordinarie, è valido anche se va a votare meno della metà degli aventi diritto. Dando per scontata la mobilitazione dei sostenitori dell'unione, il centrodestra non potrebbe nemmeno giocare la carta del mancato raggiungimento del quorum, ma dovrebbe convincere tutti i suoi elettori a recarsi alle urne.
Se invece il voto definitivo in Parlamento giungesse verso la fine del 2005, automaticamente il referendum slitterebbe a dopo le politiche; e una eventuale sconfitta sarebbe meno dirompente. In questo finale di legislatura, paradossalmente sono i parlamentari dell'Unione ad avere più interesse per un'approvazione veloce della riforma. Si vedrà nei prossimi giorni come i due schieramenti giocheranno le ultime mosse della partita.
Marco Dell'Omo
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