ROMA - Yasser Arafat sarà sepolto nella Muqata, il palazzo a Ramallah, in Cisgiordania, dove gli israeliani hanno confinato il presidente palestinese dal dicembre 2001, fino alla partenza per la Francia il 29 ottobre per un ultimo disperato tentativo di salvarsi la vita.
Il suo sogno era che le sue spoglie riposassero a Gerusalemme, sulla Spianata delle moschee, luogo sacro all'Islam ma anche agli ebrei come Monte del Tempio. Ma Israele, per motivi religiosi quanto politici, non glielo avrebbe mai concesso. E così, hanno annunciato oggi fonti della dirigenza palestinese, la tomba di Arafat sarà lì, fra le macerie del suo palazzo presidenziale, distrutto dai bombardamenti israeliani durante le incursioni del 2002, in quella che per quasi tre anni è stata la sua prigione.
D'altronde la Muqata era nata come carcere, quando i britannici la costruirono negli anni Trenta. Ma poi vi insediarono il loro governatore militare per la regione.
Progettato da Sir Charles Tegart, un ingegnere che aveva diretto anche la costruzione di diverse stazioni di polizia e avamposti nella Palestina sottoposta al dominio britannico, il complesso è noto anche come "complesso di Tegart", oltre che Muqata (distretto).
Protetta da un muro di cinta, la Muqata è composta di diversi edifici. In alcuni, prima dei bombardamenti durante l'operazione israeliana Muraglia di difesa del 2002, si trovavano i locali della presidenza dell'Autorità palestinese, altri servivano per l'acquartieramento di funzionari e guardie, mentre in un edificio c'era la sala per ricevere i dignitari stranieri e in un altro una prigione.
Prima che Arafat ne prendesse possesso, la Muqata era servita al governatore militare israeliano per il distretto di Ramallah come quartier generale e comprendeva un carcere e un deposito d'armi.
Il complesso, non distante dal centro di Ramallah, è stato fatto ristrutturare nel 1994 da Arafat, tornato dall'esilio all'estero ed è stato parzialmente riparato lo scorso anno, e solo tali parti sono utilizzate. Da qui, oltre una porta protetta da sacchi di sabbia, Arafat ha guidato i palestinesi, ha tenuto le riunioni di governo, ha ricevuto ospiti stranieri e qui, ha denunciato oggi il ministro degli esteri Nabil Shaath, si è ammalato per le cattive condizioni di vita.
Nella polvere del cortile, oltre il muro di cinta, a fianco di una montagna di carcasse di autovetture, centinaia di palestinesi si sono accampati per difendere il loro leader, durante le incursioni di Israele, e per salutarlo quando è partito, forse per morire in terra straniera.
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