Il re è tornato. Quando Henrik Larsson, trentatrenne attaccante del Celtic, ha annunciato il suo ritorno in nazionale dopo quasi due anni di assenza e di campagna a suo favore, tutta la Svezia ha fatto festa. Perchè se il giocatore più atteso della nazionale nordica all'Europeo è Zlatan Ibrahimovic, Henke è l'idolo nazionale per il quale persino il primo ministro di Stoccolma, Goran Persson, si è mosso aderendo alla raccolta di firme (110.000 in tutto) lanciata da Aftonbladet, il principale quotidiano svedese. «Se ci ripensi, fammelo sapere: pago il viaggio in Portogallo a te e alla tua famiglia», aveva detto prima della decisione definitiva al veterano gialloblù Lennart Johannson, presidente dell'Uefa. E alla fine tanto affetto ha colpito nel segno. «Per due anni sono stato benissimo anche senza la nazionale - ha spiegato Larsson - Anzi, credo che star lontano dallo stress di certi impegni internazionali mi abbia reso un giocatore migliore, oltre ad allungare la mia carriera. Ma ora mi sento perfettamente a posto fisicamente, motivato, e colpito da tanto amore nei miei confronti: sarebbe stupido rinunciare a questo Europeo».
Così i due ct svedesi, Lagerbaeck e Soderberg, lo hanno incluso nella lista dei 23 tra la gioia di tutta una nazione. E poco conta che nei piani dell'avversaria dell'Italia nel girone C, almeno inizialmente, Larsson non rientri come attaccante titolare in coppia con Ibrahimovic: tutti quelli che hanno lanciato la campagna a favore di Larsson, sono certi che alla prima partita contro la Bulgaria, 'Henkè sarà lì in campo.
In ogni caso, le sue 73 presenze in nazionale per 24 gol e la durata della sua permanenza in nazionale (questo sarà il suo terzo europeo) ne farebbero il leader carismatico della Svezia, anche da 'capitanò non giocatore. Dopo l'esplosione ai Mondiali Usa '94, Larsson non ha dato seguito con una carriera di gloria: ma il suo senso del gol e la completezza del bagaglio tecnico, unita alla solidità fisica, ne fanno un attaccante completo. «Tornare in nazionale dopo l'addio seguito alla delusione del Mondiale 2002 - ha spiegato il «re» - per me è un onore e una responsabilità. E poi nel calcio ho imparato: mai dire mai». Ma questa volta, a differenza dei Maldini o dei Baggio di mezza Europa, per il ritorno di un veterano il detto ha funzionato.
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